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Ostia, il “pasticciaccio dell’Idroscalo”: a 6 anni dalle prime demolizioni l’abusivismo rimane irrisolto

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L’Idroscalo di Ostia, quartiere abusivo costruito sulla Foce del Tevere a due passi dal Porto, a 6 anni dalle demolizioni volute dall’allora sindaco Gianni Alemanno continua ad esistere senza alcuna regolamentazione.

La zona, che prende il nome dall’Idroscalo “Carlo del Prete” (impianto per l’ammaraggio ed il decollo di idrovolanti ed aerei anfibi costruito negli anni ’20), è stata oggetto di insediamenti autonomi di decine di famiglie romane a partire dagli anni ’60, che hanno adibito a case vecchie costruzioni o edificatone delle nuove sui terreni demaniali (si tratterebbe in teoria di un’area naturale protetta). All’inizio alcuni ottennero le concessioni, ma con il passare del tempo e l’arrivo sempre più massiccio di migranti dall’Est Europa ed extracomunitari si è perso il controllo della situazione, per un totale di 400-500 famiglie che stanziate abusivamente nella zona.

Esattamente 6 anni fa, il 23 Febbraio del 2010, l’allora giunta romana di centro-destra, tramite un’ordinanza della Protezione Civile, decise di abbattere le prime costruzioni secondo un piano che entro il 2013 avrebbe visto la completa demolizione di tutte strutture. Motivo dell’intervento: la zona è a rischio esondazione. Avendo poi l’area una grossa valenza naturalistica e una potenzialità turistico-ricettiva il piano regolatore del comune e l’autorità del bacino del fiume Tevere prevedono un parco fluviale e uno spazio di massima espansione del fiume stesso. Quindi, dichiarava l’allora Presidente del Municipio, Giacomo Vizzani: “Nessuna speculazione, l’area diventerà il parco della foce del Tevere”.

Quel giorno di 6 anni fa fu tensione tra le forze dell’ordine e gli abitanti locali, chevolevano, e tuttora vogliono, difendere le loro abitazioni rivendicando i loro pagamenti di energia elettrica, nettezza urbana e servizi, da veri abitanti e non da abusivi, denunciando poi che la vera ragione della demolizione fosse la volontà di ampliare il Porto per dare soldi agli imprenditori locali.

Alla fine 35 case vennero abbattute e gli abitanti trasferiti in un residence sulla Via Ardeatina. Da lì in poi nulla. La zona scompare dall’occhio dell’amministrazione rimanendo un quartiere costruito abusivamente su uno spazio naturale, con quasi 1000 abitanti. Il 28 luglio 2015, poi, un’indagine della Procura di Roma porta al sequestro dell’area del Porto (con annesso arresto del presidente Mauro Balini), complicando ancora di più la situazione e costringendola allo stallo.

Ma perché il caso è finito sotto la sabbia? Cosa c’è sotto?

L’abbiamo chiesto ad Andrea Schiavone (presidente delle associazioni locali LabUr e Severiana, coordinatore del Comitato Civico 2013 ed esperto in archeologia, urbanistica e in diritto amministrativo).

“Si vive all’Idroscalo così come si viveva 2 millenni fa nell’antica città di Ostia– dichiara ai nostri microfoni- le aree di esondazione sono a nord, non alla foce del Tevere. Gli antichi romani avrebbero trasformato le città di Ostia e il porto nei granai dell’impero se questi fossero stati in pericolo di esondazione?”

Infatti, spiega: “Il Tevere non può esondare perché è regolato dalle chiuse e dalle traverse lungo il suo corso. Se ci sono pozze, sono dovute ai lavori mai eseguiti dal porto di Ostia lungo via dell’Idroscalo e per mancanza di autorizzazioni comunali a realizzare opere di drenaggio lungo le strade sterrate”.

La soluzione sarebbe quindi regolarizzare definitivamente gli stanziamenti edilizi.

“Tutte le periferie di Roma– ci dice- sono state sanate con legge e tutte versavano nelle stesse condizioni…si è usato uno strumento urbanistico per farle diventare edificabili. L’amministrazione comunale dovrebbe attuare quello che era previsto per l’Idroscalo, cioè quel piano di zona (=case popolari) che i residenti aspettano da oltre 40 anni ma che è scomparso”

Dietro all’intervento di demolizione del passato e l’incuria del presente, invece, ci sarebbe lo spettro della speculazione edilizia. “Qualcuno vuole strumentalizzare il degrado, creato ad arte, per liberare l’area e renderla un’area a servizio del retrostante porto. Una parte della zona, infatti, può avere destinazione residenziale: potrebbe sorgere un centro sportivo, un villaggio naturalistico con tanto di accoglienza ricettiva, cantieri nautici e yacht club e via dicendo”.

Il pericolo, dunque, è che mantenendo lo stallo si possa favorire, al momento di opportuna congiunzione amministrativa, chi in quell’area vuole edificare altro. Eventualità che si potrebbe scongiurare decidendo subito se regolamentare l’edilizia del quartiere o trasformarlo in ciò che formalmente dovrebbe essere: un parco naturale.

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