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PPE Torvaianica Alta, nuova sentenza del TAR: il Comune perde su tutto, anche nel caso Raspa/Petriachi

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E’ una sentenza che pesa come un macigno, quella emessa dal TAR del Lazio sull’ormai nota vicenda riguardante l’annullamento in autotutela della variante al piano particolareggiato di Torvaianica Alta/Campo Jemini. Il documento, di due giorni fa, ribadisce una volta per tutte non solo quanto già emerso finora, ovvero le sconfitte – arrivate una dopo l’altra, ora alla Regione, ora allo stesso TAR – riportate dal Comune, ma si esprime anche sulla vicenda riguardante il presunto conflitto di interesse, anch’esso uscito fuori all’interno del più ampio quadro della vicenda, riguardante i Consiglieri Giuseppe Raspa e Gianfranco Petriachi.

Il documento dunque, a distanza di più di un anno, stabilisce che il Comune ha sbagliato fin dal principio e che ogni mossa messa in campo per difendere il proprio operato altro non ha fatto che, lo dicono i fatti, peggiorare la propria posizione. Ma andiamo con ordine. La sentenza (consultabile a questo link) si apre con un riassunto dei vari ricorsi oggetto di questa nuova pronunciazione: con un diverso numero di registro per ogni causa troviamo, nell’ordine, il Consorzio Comparto C1 Torvaianica Alta, le Società Azzurra Immobiliare 2013 srl, Locema Costruzioni srl, Società Sviluppo Real Estate Srl, Società Costruzioni Laziali srl e Società Iniziative Sviluppo Immobiliare 2007 srl, tutta una serie di cittadini nonché la Regione Lazio (chiamata in causa anch’essa ma da un ricorso questa volta presentato dal Comune di Pomezia), “uniti” contro l’Amministrazione pometina.

Le posizioni in causa

Il documento procede quindi a riassumere le motivazioni che hanno animato le varie parti in causa. “Le parti private che sono elencate nei diversi ricorsi indicati in epigrafe lamentano l’illegittimità della deliberazione sotto diversi profili, che possono essere riassunti e raggruppati nella violazione di legge ed eccesso di potere relativi al mancato coinvolgimento partecipativo dei soggetti destinatari degli effetti negativi dell’autotutela; nella violazione dei presupposti di quest’ultima, conseguenti alla circostanza che sulla base della deliberazione annullata si sono formate aspettative legittime e sono stati avviati lavori e programmi costruttivi; nella violazione del procedimento di formazione degli strumenti urbanistici, che scaturiscono da un procedimento complesso nel quale spetta alla Regione la verifica e l’approvazione della proposta adottata dal Comune. Con motivi aggiunti è stata inoltre dedotta l’illegittimità della deliberazione nr. 33/2015 avendovi preso parte (sia al dibattito che in sede di votazione) due consiglieri comunali (i sigg.ri Gianfranco PETRIACHI e Giuseppe RASPA), i quali avrebbero dovuto astenersi, posto che essi sono proprietari di immobili ricadenti nel perimetro di attuazione del PPE oggetto di deliberazione dell’annullamento in autotutela (meglio identificati in atti). Da qui, la violazione ed omessa applicazione dell’art. 78, comma 2 del Dlgs 267/2000, in quanto la revisione della disciplina applicabile al comprensorio costituirebbe un interesse immediato e diretto dei proprietari di immobili in esso ricadenti”.

“Il Comune di Pomezia – invece – dal canto suo, lamenta l’illegittimità della determinazione prot.362190-15 del 6.08.15 della Regione per articolati motivi di gravame nei quali insiste nell’effetto caducante dell’annullamento d’ufficio della delibera di adozione della variante e sulla sussistenza dei requisiti urbanistici per l’annullamento della variante

Le decisioni del TAR

Premesso e riassunto tutto questo, vediamo adesso quali sono stati, nel merito, i provvedimenti adottati dal Tribunale Amministrativo. Innanzitutto viene nuovamente riconosciuta la posizione della Parrocchia Regina Mundi (che esce dunque vittoriosa dal contenzioso con Piazza Indipendenza) come del resto già stabilito da altre sentenze dei mesi emesse nei mesi scorsi; il secondo aspetto, anche questo vicenda nota, riguarda l’illegittimità del Comune nell’annullare un atto non di sua esclusiva pertinenza: “il piano urbanistico approvato non è un atto su cui il Comune può esercitare autonomamente i poteri di autotutela” –  ribadisce per l’appunto il documento – ma solo congiuntamente in quanto “laddove l’Ente locale territoriale intenda perseguire l’annullamento dell’atto di pianificazione definitivo per ragioni di grave illegittimità – quali quelle prospettate nel caso di specie a fondamento della deliberazione consiliare nr. 33/2015 – deve rispettare il medesimo procedimento previsto per la formazione dello strumento urbanistico che si intende annullare, secondo il principio del “contrarius actus”, dal momento che l’autotutela non può che essere esercitata congiuntamente ed in concerto tra le Amministrazioni che sono competenti all’esercizio del potere di primo grado, nei rispettivi limiti e ruoli: a diversamente ritenere, infatti, si perverrebbe alla conseguenza che, in sede di autotutela, il Comune eserciterebbe un potere di maggiore ampiezza rispetto a quello di cui è titolare in fase di formazione dello strumento urbanistico.”

In altre parole, il Comune poteva sì contestare la variante al Piano Particolareggiato ma solo agendo di comune accordo con la Regione, ovvero facendo una propria proposta da discutere poi congiuntamente (cosa che invece non è avvenuta, con il Comune che, di fatto, ha scavalcato le competenze della Regione stessa). E’ vero però che Piazza Indipendenza avvisò l’ente regionale, ma solo in un secondo momento e a decisione già presa, dunque tale comunicazione è da ritenersi ininfluente ai fini della causa.

Veniamo ora al presunto conflitto d’interesse contestato ai due Consiglieri di maggioranza del Comune di Pomezia. Anche qui, a dispetto delle motivazioni da sempre avanzate dai diretti interessati, il TAR non ha dubbi: i consiglieri non dovevano prendere parte a quella votazione. Non solo. Per l’operato portato avanti dall’amministrazione il Tribunale sentenzia che, in virtù delle conseguenze attivate dall’approvazione dell’atto stesso, i Consiglieri ne avrebbero tratto vantaggio facendo così cadere, lo ribadiamo, tutte le difese avanzate sin dal principio di questo specifico contenzioso. Leggiamo infatti: “Chiarisce la giurisprudenza che l’obbligo di astensione degli amministratori locali costituisce principio di carattere generale ex art. 78, comma 2, del d.lgs. n. 267/2000, che non ammette deroghe o eccezioni, ricorrendo ogni qualvolta sussista una correlazione diretta fra la posizione dell’amministratore e l’oggetto della deliberazione, anche se la votazione potrebbe non avere altro apprezzabile esito e la scelta fosse in concreto la più utile e opportuna per l’interesse pubblico; e tale dovere sussiste in tutti i casi in cui essi versino in situazioni che, avuto riguardo al particolare oggetto della decisione da assumere, appaiano – anche solo potenzialmente – idonee a minare l’imparzialità dei medesimi (v. TAR Reggio Calabria, 24 maggio 2012, nr. 385, ed i principi di giurisprudenza ivi indicati; T.A.R. Campobasso Molise sez. I, 3 novembre 2011, n. 718 e Consiglio di Stato sez. IV, 28 gennaio 2011, n. 693). Osserva il Collegio che la relazione tra l’atto deliberativo e l’interesse dei consiglieri non può limitarsi entro termini puramente economici afferenti il singolo immobile; sussiste, invece, un interesse immediato e diretto all’adozione dell’atto in questione perché quest’ultimo è deliberato allo scopo esplicito di perseguire un corretto equilibrio tra abitanti e standard nel comprensorio di riferimento, assumendone l’esposizione ad un carico urbanistico ritenuto eccessivo rispetto all’edificato già esistente; già solo questa previsione implica un vantaggio apprezzabile – in termini di fruibilità ambientale –in capo ai consiglieri proprietari di immobili nella zona. Inoltre, e sempre nella medesima ottica, l’effetto immediato della deliberazione impugnata è di determinare la sospensione o la revoca dei titoli edilizi in corso o quelli ancora da rilasciare: nell’ottica della ricerca di un equilibrio ambientale più favorevole, la deliberazione implica così effetti immediati di conservazione dell’attuale rapporto tra volumetrie, standard ed abitanti. Tutto questo, quindi, costituisce una utilità atta a riflettersi in maniera immediata e diretta anche nella sfera soggettiva dei consiglieri aventi immobili in zona. Per queste ragioni, i gravami sono sul punto fondati e come tali meritano accoglimento“.

A questo spunto, scardinato ogni concetto, sorgono alcune domande: ponendo e dando per scontato che i Consiglieri conoscessero la norma in oggetto (per l’incarico ricoperto non è possibile ipotizzare altrimenti) perché hanno votato comunque il provvedimento? Il timore di non veder approvata la delibera è valso il rischio a cui si sono esposti (e questo potrebbe anche non interessare la collettività) e a cui hanno esposto tutto il Comune (e questo sì interessa ai cittadini)?

Il Sindaco Fucci ha poi da sempre ribadito che né il TAR, né la Regione si sono mai espressi sul merito di quanto avanzato dall’amministrazione pometina. Come già scritto in passato anche dallo stesso TAR, però, ogni giudizio tecnico e di merito è impossibile proprio perché il Comune, in sintesi, ha ignorato le normative vigenti agendo unilateralmente. “Dal momento che il procedimento in questione non è stato posto in essere secondo il regolare confronto tra Amministrazioni responsabile, si è già ritenuto che ogni ulteriore questione in ordine alla effettiva sussistenza dei presupposti tecnici di annullamento della variante non può essere allo stato indagata, in assenza del corretto procedimento che vede tra gli altri coinvolti anche gli interessati nella fase delle osservazioni”, ribadisce ancora la sentenza.

La conclusione della vicenda: la giunta Fucci perde su tutta la linea

Ecco allora come si conclude il documento. I ricorsi in oggetto sono stati accettati tutti – e tutti dunque danno torto al Comune di Pomezia – tranne quello presentato dall’amministrazione pometina (che è stato respinto) nei confronti della Regione Lazio, vinto proprio da quest’ultima. Una sconfitta su tutta la linea dunque (ecco allora che si comprende meglio la decisione dello scorso 10 giugno che ha visto il Comune di Pomezia accordarsi con i costruttori per evitare ulteriori conseguenze soprattutto economiche: probabilmente c’era già il sentore di una sconfitta clamorosa).

Infine, per completezza d’informazione, è giusto aggiungere un ultimo elemento. Con questa sentenza il TAR non ha voluto di certo privare un Comune di un suo sacrosanto diritto, ovvero quello di avanzare critiche, contestazioni o anche richieste di annullamento, nei confronti di provvedimenti presi da altri Enti e che riguardino da vicino gli interessi per i cittadini; ciò che si deve fare, però – cosa che non ha fatto invece Pomezia – è rispettare le norme e le leggi vigenti (nello specifico la nostra Città, ha stabilito il TAR, avrà 90 giorni di tempo per avanzare una proposta, limite superato il quale il Comune non potrà più esprimersi in merito) seguendo le indicazioni del legislatore e non, come è accaduto, scavalcando le competenze tra Enti.

 

 

 

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