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Dillo alla Crinzi; come superare la perdita di una persona cara

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Ciao Ale, 

 ti seguo da molto tempo, ti trovo simpaticissima, profonda e sicuramente più saggia di me, e ho pensato di scriverti, non so se per sfogarmi, se per mettere tutto nero su bianco, sentire qualcosa di confortante, o cos’altro. 

Ti scrivo perchè ho sempre vissuto con i nonni, che per me sono più che dei genitori: abitavo con la nonna e il nonno tre piani sotto i miei genitori, mi hanno sempre lasciata libera di stare con chi volevo, senza fare storie. Poi mamma e papà hanno divorziato, mamma si è trasferita a Milano facendo pressioni perché io andassi con lei per ricevere i soldi del mantenimento da papà. Dopo varie battaglie (anche legali), sono riuscita a stare con i nonni e con papà vicino. Il nonno è morto e con noi è venuta a vivere la sorella della nonna. Stiamo bene insieme, ci divertiamo, siamo tre ragazze (così le chiamo io) e ci viziamo a vicenda. E la nonna 6 anni fa ha avuto un tumore al seno che si è esteso a polmoni e surreni, ma ha sempre vinto sulla malattia e è sempre rimasta in forze.

Purtroppo a settembre ha avuto un’emorragia cerebrale data dal tumore, e non si è più ripresa: i medici hanno smesso di curarla, ci hanno detto di accontentare ogni sua richiesta e di rimanerle vicino, ma lei passa la maggior parte del suo tempo dormendo. Ormai il suo tempo è finito, non si sa quanto ancora resisterà, ma l’unica cosa che riesco a pensare è che il suo tempo qui è finito. Io non me ne capacito, ho passato giorni a piangere appena mi trovavo sola, al lavoro, a casa, prima di dormire, in auto, in centro. Ora piango solo ogni tanto, ma quando penso a una vita, a una casa senza lei, mi sento vuota, disperata, senza speranze. 

Ale, io non ho mai avuto un lutto così importante, non so cosa verrà dopo: come si reagisce alla perdita della propria mamma (perché per me questo è, la mia mamma)?

 

Ti mando un bacio. V.

 

Cara V., ti rispondo subito dopo averti letta; intorno a me solo il silenzio di una strana notte. La tua lettera mi ha colpita profondamente, al punto da prendere al volo le emozioni che ha suscitato, decidendo di rispondendoti nell’immediato.

Ho 35 anni, sono una donnina con pochi peli sulla lingua e con un passato che sarebbe la trama perfetta per un libro. Tutte voi mi scrivete ponendomi domande sulla vostra vita, pensando che abbia la soluzione a tutto, che io sia una donna cazzuta e forte, ma la verità è che dietro la facciata di cemento armato c’è una tizia fragile, piena di paure e con altrettante debolezze.  

Non ho mai affrontato un vero e proprio lutto, o meglio, i miei affetti sono  e sono sempre stati solo due: la mia mamma e il mio amatissimo papà. I nonni li ho vissuti davvero poco – non sto qui a spiegare come e perché, ma parliamo di una frequentazione davvero ridotta. Quando sono venuti a mancare ho sofferto, sì, ma non come avrebbe fatto una nipote che ha vissuto decenni come tale.

Sono figlia di due genitori che mi hanno avuta dopo i quarant’anni; mia madre, in terminologia medica, veniva definita “primipara attempata” – normalità oggi, ma una specie di fenomeno da baraccone negli anni 80. Questo, come ben comprenderai, ha significato aver avuto un’infanzia caratterizzata da compagni di scuola che molto spesso mi facevano notare “l’anomalia” parlando di morte – i bambini sanno essere più crudeli degli adulti  –  e significa anche che la mia mamma oggi ha 76 anni, e mio padre è più o meno suo coetaneo. Sono acciaccati, pieni di malanni, mi danno non hai idea di quante preoccupazioni, ed io, da qualche tempo a questa parte, vivo angosciata e nel terrore che possa accadergli qualcosa, che possa arrivare quel momento che nessun figlio vorrebbe mai vivere. 

Perché ti racconto questo? Mi sono confidata perché mi hai posto una domanda che per me ha grande, grandissimo peso. Mi hai chiesto come si può superare un lutto di queste dimensioni ed io in questo momento mi sento spiazzata, perché non voglio pensare a quando quel momento arriverà e a come sarà, ma allo stesso tempo mi rendo conto che è una domanda che mi sono posta tantissime volte, quindi, nonostante io non mi senta all’altezza di farlo, proverò a rispondere.

Credo che un lutto così importante si superi a piccolissimi passi, credo anche che spesso non si superi realmente, ma che sia la vita ad andare avanti e a trascinarci con lei. Non so esattamente come si possa reagire, penso però che il dolore vada assimilato, sentito, elaborato, fino a quando non inizia a sembrare più sopportabile. La morte lascia sempre un vuoto incolmabile e la medicina migliore è l’inconsapevole tempo; cura dei grandi dolori che vanno affrontati e non rifiutati. Non so quanti giorni, mesi, anni, debbano trascorrere perché le ferite si rimarginino, non so nemmeno se in verità diventino cicatrici o rimangano tagli aperti che bruciano all’aria. Quel che so quasi per certo è che la mancanza sarà sempre lì, ma insieme a lei ci saranno anche i ricordi e gli insegnamenti di chi ci ha amato e abbiamo amato, e noi avremo la possibilità di farli vivere grazie alla nostra esistenza, ai nostri occhi, alle parole, grazie ai battiti del nostro cuore. 

Tieni a mente una cosa: il nostro corpo è materia terrena, le nostre anime sono eterne. Non consola, ma fa riflettere. 

Ti abbraccio forte.

La Crinzi

dilloallacrinzi@ilcorrieredellacitta.it

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