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I social network come mezzo di commissione del reato

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Viviamo in un mondo in continua trasformazione, dove ora dopo ora, la tecnologia si evolve ed il diritto cerca di stare al passo con i tempi.

Nell’era dell’informatizzazione, è sempre maggiore l’attenzione dei giudici ai reati “digitali” compiuti attraverso le nuove tecnologie come le molestie, i profili falsi, le diffamazioni, i furti di password e/o fotografie. L’enorme mole di sentenze che i tribunali producono in questo periodo ne è la testimonianza. I reati telematici sono all’ordine del giorno e la falsa convinzione di non punibilità degli stessi dovrebbe essere superata.

Analizziamo così tutte le principali ipotesi di reati possibili sui social network.

1) DIFFAMAZIONE/INGIURIA

Il reato più gettonato su Internet è la diffamazione. La diffamazione su una testata giornalistica online o su un social network non può essere considerata come aggravata “dal mezzo di stampa”, ma per i giudici, va comunque considerata l’aggravante del mezzo di pubblicità [1]. E’ bene precisare che i  social network sono ritenuti luoghi aperti al pubblico pertanto la condotta penale è più grave e la sanzione più costosa (trattasi, infatti, di sanzione pecuniaria). Secondo la Cassazione [2] anche i commenti a sfondo sessuale, postati sulla bacheca della vittima, possono rientrare nel reato di molestie se costanti e petulanti da recare disturbo nella parte offesa o costringere quest’ultima a mutare le proprie abitudini di vita.

La vittima ha 90 giorni di tempo per sporgere querela. Ma, prima di fare ciò, è necessario procurarsi le prove del reato. Una soluzione può essere quella di salvare la pagina web su un supporto durevole, che comprende anche i codici Html, per preservarne l’autenticità anche in caso di rimozione. Un’altra via è quella di recarsi da un notaio, stampare la pagina incriminata e far da quest’ultimo attestare che la copia è conforme all’originale. Quanto tutto manca, sarà necessario avvalersi di testimoni, in grado di riferire al giudice il contenuto dei post offensivi: circostanza tanto più importante quanto più si pensi che, verosimilmente, il colpevole, all’avvio delle indagini, potrebbe cancellare tutto ciò che ha precedentemente scritto sul web. In questi casi, la vittima può, oltre che agire penalmente nei confronti del colpevole, chiedergli poi, in via civile, il risarcimento del danno.

Attenti ai like sui post offensivi. I giudici stringono le maglie anche su chi clicca “mi piace” ai commenti altrui. Quest’anno sono scattati i primi rinvii a giudizio per concorso in diffamazione aggravata che tengono conto del fatto che l’addebito offensivo alla reputazione della vittima aumenta in proporzione alle persone che apprezzano i post denigratori.

La differenza tra diffamazione e ingiuria. Se l’insulto avviene in pubblico, cioè alla presenza di più di due persone scatta il reato più grave di diffamazione. Diversamente, se l’offesa viene proferita in una chat a due: in questo caso, il reato configurabile è quello di ingiuria e anche esso può dar luogo al risarcimento del danno.

Se vi hanno rubato l’account Facebook. Non è facile sfuggire alla condanna penale sostenendo di essere stati vittima di un furto di identità. L’eventuale accesso abusivo all’account di posta elettronica o al profilo social deve essere dimostrato con prove tracciabili e documentate.

La pubblicazione di una notizia non aggiornata. Anche la pubblicazione di una notizia non aggiornata con l’eventuale sentenza di assoluzione può far scattare la diffamazione e il conseguente risarcimento del danno. Ciò infatti lede la reputazione dell’interessato [3].

2) PROFILO FALSO
Creare un profilo falso su un social network integra il reato di sostituzione di persona. Qui il dolo, secondo i giudici, è rappresentato dal soddisfacimento di una propria vanità o dall’altrui danno (arrecato alla persona cui si sottrae l’identità). Commette lo stesso reato chi apre un account email sotto falso nome, inducendo in errore i terzi [4].

3) SCRITTI OFFENSIVI
Nel nostro ordinamento scatta la responsabilità solo per chi scrive l’articolo e non per chi rinvia a un articolo scritto da terzi. Secondo il Tribunale di Genova [5] non costituisce diffamazione linkare sul proprio profilo Facebook o sul sito internet un articolo offensivo scritto da altri, in quanto la creazione di un link non può portare a inglobare quel documento diverso nella propria pagina web.

4) PUBBLICAZIONE FOTO
Vietato pubblicare foto senza l’autorizzazione del soggetto ritratto. Idem per i tag su un’immagine offensiva (si pensi il tag su una foto a sfondo sessuale, di odio razziale, o con contenuto lesivo dell’altrui reputazione). Non si possono postare neppure le foto del coniuge o di altri familiari senza il loro consenso. Così, per esempio, dopo la separazione dei coniugi, l’uno può obbligare l’altro a rimuovere dal proprio profilo le immagini del viaggio di nozze o gli altri scatti fatti insieme [6]. In caso di violazione, il tribunale potrà ordinare la rimozione coattiva con un ricorso in via d’urgenza [7].

Vietate le foto di minori. I genitori non sono “padroni” dei loro figli e non possono decidere circa l’immagine di questi ultimi, disponendone a proprio piacimento. Così, se i ragazzi, una volta divenuti maggiorenni, dovessero ritenersi lesi dalla pubblicazione di tali foto “in lungo e in largo” (attesa, soprattutto, la difficoltà a cancellare i contenuti dal web “ex post”), potrebbero fare causa ai genitori (anche davanti al Garante della privacy) e, azionando i propri diritti, chiedere risarcimento del danno e le relative sanzioni. Postare le foto di minori, specie se in età scolastica, è estremamente pericoloso poiché ciò potrebbe richiamare le attenzioni di malintenzionati.

5) TRATTAMENTO ILLECITO DI DATI PERSONALI
Il trattamento illecito dei dati personali, se non autorizzato è reato. Secondo la Cassazione [8], divulgare in una conversazione via chat o in una mail il numero di cellulare di altri può portare a una condanna per il reato di trattamento illecito dei dati personali [9].

6) STALKING
I giudici sanzionano inoltre le molestie e lo stalking commesso tramite social network perchè rappresenta un luogo aperto al pubblico. Se i messaggi (sia in bacheca che privati) sono costanti e in grado di turbare la vita della vittima non si sfugge a una condanna che, nei casi più gravi, può arrivare fino a quattro anni.

Massimiliano Gobbi

 

[1] Art. 595 co. 3 cod. pen.
[2] Cass. sent. n. 37596 del 12.09.2014.
[3] Cass. sent. n. 18174 del 25.08.2014.
[4] Cass. sent. n. 25774 del 16.06.2014.
[5] Trib. Genova, sent. del 12.03.2014.
[6] A essere violati in questo caso sono la legge sul diritto d’autore (articoli 96 e 97 della legge 633/41) e il Testo unico sulla privacy (articolo 23).
[7] Art. 700 cod. proc. civ.
[8] Cass. sent. 21839 del 1.06.2011.
[9] Art. 167 T.U. privacy.

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