Ricorre oggi il 60° anniversario della scomparsa di Wilma Montesi. Tre giorni dopo, la mattina dell’11 aprile 1953, fu ritrovato sulla spiaggia di Torvaianica il cadavere di una ragazza romana di 21 anni, sparita nel nulla dopo una gita solitaria ad Ostia, dove era andata per un “pediluvio”.
Il ritrovamento e il conseguente clamore del nome dell’allora piccolissima località, formata da poche case e casupole e qualche villetta, fu un avvenimento di cui tutti gli abitanti si ritagliarono un personale ricordo, poi tramandato alle generazioni successive. Per alcuni il coinvolgimento fu più interessato o meno trasparente: qualcuno ebbe il suo momento di notorietà, sballottato qua e là per l’Italia a rendere testimonianze su eventi che coinvolsero pesantemente personaggi dello spettacolo e protagonisti della scena politica di quegli anni.
Wilma Montesi è il “mito fondante” di Torvaianica, ma nessuno avrebbe mai creduto che quel crudo fatto di cronaca sarebbe diventato un caso dirompente di violenza mediatica e il prototipo assoluto di quel modo che ancora oggi, e molto peggio, viene usato per spettacolarizzare tragiche vicende private e strumentalizzare ipotesi e ricostruzioni, magari con plastici, automobiline e pupazzetti di gomma, gazzarre 
tra criminologi e tra ex RIS, show down di avvocati e opinioniste mogli di ex calciatori, o ex qualcosa, al solo fine di intossicare di ridicolo i pomeriggi e le domeniche degli italiani.
Dei morti, alla fine, non importa più a nessuno.
Wilma Montesi: era una povera ragazza con una infezione alla pelle o era una di quelle? E se anche lo fosse stata? Dopo sessant’anni è doveroso un ricordo per quella giovane, povera come lo si poteva essere in quel tempo sopravvissuto alla guerra, dove la povertà poteva essere un retaggio di tempi selvaggi, così come la forza per uscirne, finalmente.
Almeno ritroviamo il luogo del ritrovamento del suo corpo e segniamolo con un piccolo monumento: Torvaianica, qualsiasi cosa si creda, è nata – almeno mediaticamente – lì.
L.T.
