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Attentati e sequestri di persona a Torvaianica, rivelazioni ‘pesanti’ al processo: riconosciuta una pistola che legherebbe l’arma a uno degli imputati

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Una pistola puntata alla testa di una bambina di appena 12 anni. E i banditi che, incuranti del terrore nei suoi occhi, al tentativo di ribellione da parte dei cugini della piccola, sotto la minaccia delle armi li chiudono in una stanza per un’ora e mezza. Questo è uno dei punti focali ricostruiti nel processo che vede vittima il noto imprenditore pometino Fiorenzo D’Alessandri, che il 22 gennaio, insieme al figlio Simone, ha testimoniato raccontando ai giudici i particolari delle vicende che hanno tenuto per un lungo periodo la sua famiglia in un continuo stato d’ansia e pericolo.

Tutto era iniziato con il ritrovamento di una busta contenente delle pallottole di arma da fuoco, subito consegnata ai carabinieri, nel giugno del 2013. Poi i fatti più eclatanti, che risalgono all’anno successivo: il 13 gennaio 2014 intorno alle 20:000 qualcuno gettò dal cancello dell’abitazione di D’Alessandri alcune bottiglie incendiarie, colpendo la rimessa situata nel piazzale esterno, dove erano parcheggiate tre autovetture di sua proprietà. Le fiamme colpirono la grondaia e si propagarono sui tre veicoli, una Porche Cayenne, un’Opel Corsa e una Smart, che vennero distrutte dal fuoco.

Appena un mese dopo, il 15 febbraio, dei malviventi entrarono nella villa dell’imprenditore, dove c’erano quattro cugini: la figlia di D’Alessandri, allora 12enne, una ragazza di 16 anni e una coppia di ragazzi maggiorenni. I banditi, tutti armati e con il volto travisato da passamontagna per non farsi riconoscere, avevano dapprima puntato una pistola contro la bambina, poi, visto il tentativo di ribellione da parte degli altri tre – dopo aver tolto loro i telefoni cellulari – avevano chiuso i ragazzi in uno dei locali dell’abitazione per circa un’ora e mezza, tempo necessario per mettere a soqquadro l’intera villa e portare via quanto possibile: soldi, gioielli, orologi e oggetti di valore. Infine, a giugno dello stesso anno, gli spari contro l’auto e l’abitazione del figlio Simone, mentre in casa era presente sia il ragazzo che la sua compagna incinta.

La pistola riconosciuta dal testimone

D’Alessandri ha risposto ai giudici per quasi due ore, raccontando quello che sapeva riguardo l’accaduto. Nel corso delle indagini i carabinieri avevano sequestrato alcune armi e, contestualmente, durante le deposizioni, D’Alessandri aveva sostenuto che uno degli imputati gli aveva mostrato, prendendola dalla sua automobile, delle pistole, che usava per il suo lavoro di addetto alla sicurezza. Nello specifico, ce n’era una di foggia e tipologia particolare, di origine slovacca, con un particolare calcio a righe, che era rimasta impressa a D’Alessandri. Nel corso dell’udienza del 22 gennaio il giudice fa vedere al testimone una serie di foto di pistole, chiedendo se tra quelle c’è anche l’arma che l’imputato gli aveva mostrato in precedenza.

Senza alcuna titubanza, Fiorenzo D’Alessandri ha indicato la pistola con il calcio a righe, riconoscendola come l’arma che l’imputato aveva preso dalla sua auto. Si tratta della stessa pistola che un altro testimone, uno dei ragazzi sequestrati all’interno della villa, aveva già riconosciuto come il revolver che era stato utilizzato per la rapina. Questo è un tassello importantissimo per i giudici, che riescono così a “legare” l’arma al proprietario grazie alle affermazioni dei due testimoni: il ragazzo all’interno della casa, infatti, pur potendo vedere l’arma, non poteva vedere la persona che la reggeva, in quanto incappucciata. Nel corso dell’udienza si è parlato anche del fatto che non c’erano legami politici con i fatti accaduti. “Non c’è assolutamente alcun legame tra la politica e quanto è successo a me: sono cose assolutamente differenti”, ha ribadito D’Alessandri. All’epoca lei disse di non avere sospetti.

Adesso, a distanza di 7 anni, è cambiato qualcosa?

“Io dissi di non avere sospetti e lo confermo, ma, come allora, in tribunale ho sottolineato che gli unici problemi che avevo erano con una famiglia di imprenditori di Pomezia. Si tratta di una vicenda di affari economici, delle prestazioni che non mi erano state pagate per una cifra molto elevata. Non appena il mio avvocato ha fatto la richiesta di pagamento, sono iniziati i problemi. Ovviamente non posso assolutamente dire che le due cose siano correlate, potrebbe essere una coincidenza, dovranno essere gli inquirenti a fare chiarezza”.

Di certo un contratto per la sicurezza da poche migliaia di euro difficilmente può scatenare una serie di crimini di questa portata, ma su questo – appunto – saranno le forze dell’ordine a dover capire cosa c’è dietro. Che siano tutti fatti collegati è certo: anche nell’episodio delle auto bruciate D’Alessandri ha visto uno degli imputati e su questo ha reso testimonianza davanti al giudice. Per quanto riguarda il processo, bisognerà attendere la nuova udienza, che si terrà il prossimo 5 marzo per il deposito della perizia sulle intercettazioni, mentre il 30 aprile ce ne sarà una successiva per esaminare altri testi del Pubblico Ministero.

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