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Un anno di pandemia: da “andrà tutto bene” alla rassegnazione

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Un anno dalla pandemia. Un anno dalle restrizioni, dall’Italia gialla, arancione e rossa, dalla gente che si affacciava dai balconi intonando le canzoni che avrebbero portato un po’ di speranza nelle case di tutti noi. Ora a un anno da tutto questo, pur conoscendo il virus, i suoi sintomi, e la sua conformazione, e pur essendoci oltre undici milioni di vaccinati in Italia, la speranza è quasi scomparsa dalle case di tutti. Non si intona più “ma il cielo è sempre più blu”, non si canta più l’inno nazionale, non si fa più il pane e la pasta fatta in casa, quelli si comprano al supermercato. I vaccini sono stati prodotti, i sintomi si conoscono, e allora che fine ha fatto la speranza di un anno fa? 

Lo ha spiegato Claudio Mencacci, Presidente della Società Italiana di Neuropsicofarmacologia e Past President della Società Italiana di Psichiatria il quale ha dichiarato a huffingtonpost che “Sono cambiati i nostri modelli di vita, le nostre relazioni umane, le interazioni con le istituzioni. C’è stato un lento e progressivo logoramento e una lacerazione, ora c’è maggiore isolamento, individualismo e scollamento tra le persone. Mi manca di vedere la solidarietà di una comunità che sente che ne sta uscendo e vuole uscirne insieme e non ognuno per i fatti suoi. Chi svolge un ruolo istituzionale ha il compito di facilitare questi comportamenti”.

Per dare una risposta più “tecnica”, lo stesso ha specificato che: “Allo stupore e alla paura del primo lockdown il nostro sistema nervoso ha dato una risposta di tipo solidaristico e celebrativo, sulle note di noi ce la faremo. Adesso ci prepariamo al secondo svuotati e sfiancati.

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