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“L’incidente”: il terzo racconto di Nicola Genovese

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Torna puntuale il nostro appuntamento con la narrativa. Questa settimana è la volta de “L’incidente”, il terzo racconto di Nicola Genovese, autore del romanzo “Il figlio del prete e la zammara”.

La gente accorsa formava un muro spesso che gli impediva di vedere cosa fosse successo.

Provò a chiedere a qualcuno, ma trovò solo sguardi allucinati, fissi sullo stesso punto.

Sembrava che tutti avessero perduto la facoltà di parlare. La curiosità lo indusse alla maleducazione, a forza di gomitate e spintoni si fece largo tra la folla e anche lui vide…

….Vide quello che mai avrebbe pensato di vedere nella sua vita.

 

 

Marco era felicemente sposato con Giada, una donna che amava follemente. L’aveva conquistata dopo anni di serrata corte.

Era bellissima e aveva una lunga schiera di spasimanti.

La famiglia era contraria al loro matrimonio e ostacolava in tutti i modi la loro storia d’amore.

Lui era un semplice impiegato del Comune.

I genitori di Giada desideravano invece che la figlia sposasse un ricco professionista che le avrebbe assicurato una vita brillante e agiata.

Ma i due ragazzi si amavano e contro il parere della famiglia andarono a convivere.  Erano felici con il loro “poco”, che era “sufficiente” per condurre una vita dignitosa. Dopo un anno avevano avuto Celeste, una bambina bionda e bella come la mamma.

Era il frutto che la vita aveva regalato ai due innamorati. Cresceva bene e i genitori non le facevano mancare nulla.

I nonni materni non vollero nemmeno vederla.

Non appena raggiunse l’età per frequentare l’asilo, la mamma trovò un lavoro part-time come commessa presso un supermercato.

Ogni mattina accompagnava la bambina all’asilo con lo scooter e subito dopo proseguiva per raggiungere il posto di lavoro. Alle 12,30 usciva dal lavoro, la riprendeva e ritornavano a casa.

Papà Marco invece prendeva l’autobus, il cui percorso incrociava da lontano la via che portava all’asilo della figlia.

Quel 17 Gennaio il tempo non prometteva nulla di buono. Mamma e figlia avevano indossato il loro kway e con lo scooter si erano avviate verso l’asilo.

All’improvviso una bomba d’acqua si rovesciò impetuosa sulla zona. Stavano per accostarsi ai margini del marciapiede per ripararsi in un bar quando all’improvviso un’auto sbucò dall’invisibile parete d’acqua e le centrò in pieno.

Molte persone erano accorse per soccorrerle.

Marco aveva visto, a bordo dell’autobus che lo stava conducendo sul posto di lavoro, la massa di gente che si era radunata.

Ebbe come un sesto senso. Scese di corsa dall’autobus e corse sul posto. C’era tanta che si frapponeva tra lui e l’incidente. Sgomitando arrivò sulla scena dell’incidente. Lo spettacolo che gli apparve era raccapricciante. Sembrava la scena di un film horror.

Sangue da tutte la parti, un arto staccato, visi irriconoscibili, intestino squarciato. Marco a quella vista svenne e cadde a terra. Intanto era arrivata l’ambulanza che trasportò in ospedale i due corpi e lo sfortunato Marco.

Al pronto soccorso costatarono che la donna era morta, mentre la bambina era viva, seppur in gravi condizioni.

Marco aveva ripreso conoscenza, ma avrebbe desiderato morire insieme a loro.

Ancora non sapeva che la figlia era viva e che in quel momento si stava sottoponendo a un delicato intervento all’intestino.

Quando lo avvisarono, una speranza si accese in lui.

Si recò nella cappella dell’ospedale, rimase lì a pregare ai piedi della statua dell’Immacolata fino a quando non lo chiamarono.

Fu accompagnato dal chirurgo che aveva operato la sua Celeste. Pacatamente gli disse che l’operazione, per quanto delicata, era andata bene. Era stata sottoposta a coma farmacologico e doveva rimanere in osservazione per 48 ore nel Reparto di Terapia intensiva.

Giunsero anche i nonni, afflitti per la perdita della loro figlia.

Si avvicinarono a Marco, l’abbracciarono e cercarono di consolarlo.

Avevano appreso che la “sconosciuta” nipote si era salvata.

Gli chiesero di venire a casa loro per riposarsi, ma lui rispose che sarebbe rimasto in ospedale fino a quando la bambina non fosse stata dichiarata fuori pericolo.

 

Marco trascorse due giorni tra la corsia adiacente al Reparto di Terapia intensiva e la cappella. Pregava la Madonna affinché salvasse la sua Celeste.

Le sue preghiere furono esaudite. La piccola si era svegliata dal coma e aveva reagito bene alle cure.

Una parte dell’intestino le era stato ricostruito e si alimentava con liquidi. Il papà chiese di poterla vedere e 

si avvicinò al lettino. Le prese la manina e l’accarezzava dolcemente. Un sorriso apparve sulle sue labbra e con un fil di voce chiese dove era la mamma.

Rispose con una pietosa bugia: “È ricoverata al Reparto di Ortopedia. Non può muoversi poiché si è rotta una gamba.

Non appena sarà in grado di farlo verrà a trovarti”.

“Spero di farlo prima io”, rispose ingenuamente la bambina.

Vennero a trovarla i nonni che lei non conosceva.

Gli chiese come mai non erano mai venuti a trovarla.

Anche loro risposero con una pietosa bugia: “In tutti questi anni siamo stati lontani, all’estero, e solo ora siamo ritornati”. (era la stessa bugia che la mamma le raccontava quando chiedeva di loro).

Si erano ripromessi che non appena si fosse ristabilita, le avrebbero raccontato la verità.

Marco le stava sempre vicino.

Era un miracolo che fosse sopravvissuta a quel pauroso incidente.

Anche lui aveva rimandato di raccontarle la verità… era troppo crudele!

 

Nicola Genovese

Il romanzo di Nicola Genovese “Il figlio del prete e la zammara” è reperibile su Ibs libri, oppure richiedendolo direttamente all’editore Aulino Tel.3284793977 oppure via e-mail:info@Aulinoeditore.it

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