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Nessun lavoro per Martina: “Sei troppo grossa, non vai bene”

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La società in cui viviamo è talmente contraddittoria che ultimamente mi confonde. Da decenni cerchiamo di abolire i pregiudizi riguardati la fisicità altrui, ma la verità è che da sempre non riusciamo a farlo. Continuiamo a combattere – o forse a far finta – sostenendo che il corpo non è tutto, che la bellezza dev’essere interiore, che l’intelligenza e le capacità lavorative di una persona sono priorità, e nel frattempo ci ritroviamo davanti alla storia di Martina: 140 chilogrammi, 1,80 d’altezza e un problema metabolico che la porta a combattere dall’infanzia con il grave sovrappeso che, ad oggi, le sta precludendo l’ingresso nel mondo del lavoro, e non perché le impedisca di svolgere qualsiasi tipologia di attività, ma semplicemente perché la sua fisicità e suoi kg di troppo non piacciono ai datori di lavoro.

Martina, 26 anni, di Prato, intervistata da Repubblica, racconta: “Tramite l’applicazione Corner Job ho iniziato a mandare curriculum. Tutti i colloqui hanno seguito lo stesso copione. In un bar la segretaria mi chiese: sei sicura che questo sia il lavoro adatto per te? Ce la fai a camminare molto e a stare in piedi? Sai reggere la fatica? E poi il responsabile ha rincarato la dose: sei troppo grossa, non vorrei far scomodare i clienti per farti passare tra i tavoli“.

Un vero signore, aggiungo io.

Il calvario continua in un albergo che, nonostante il curriculum e il diploma di segretaria di azienda di Martina, ha comunicato alla ragazza che non avrebbe potuto assumerla perché non provvisti di divisa oversize; farne produrre una solo per lei sarebbe costato troppo.

Anche questi, gentilmente, mandiamoli alla Sagra della Cafonaggine, li trovo perfetti per il podio.

Inoltre, in due negozi di una grande catena di elettronica l’hanno “rimbalzata” dicendole che le promoter di bella presenza attirano di più il pubblico, mentre in un call center le hanno detto che il front office non era adatto a lei, ma che al limite – forse, chissà, vedremo… – avrebbero potuto pensare di posizionarla al back office, quindi al telefono, dove nessun cliente avrebbe avuto modo di vederla. Della serie: ti nascondiamo, non sia mai che qualcuno possa imbattersi in te.

Sensibili, educati, signorili.

In sintesi, Martina non deve combattere solo con il problema metabolico che l’accompagna da quando aveva dieci anni, lo stesso che l’ha portata a entrare ed uscire continuamente da cliniche specialistiche, seguire diete, terapia individuale e di gruppo. Oggi questa ragazza si ritrova a dover avere a che fare con una società che preferisce a priori le taglie 40/42, ma anche con l’ignoranza di chi non vuole comprendere che l’obesità non è sempre causata da pigrizia e smodata golosità, bensì anche da gravi cause, difficili da eliminare.

Stiamo parlando di una malattia, come lo è l’anoressia: né in un caso, né nell’altro ci dev’essere discriminazione.

Ora, non voglio fare l’ipocrita buonista: è noto che la bella presenza garbi a tutti. È chiaro che una modella venga assunta principalmente per la bellezza, ma non è sano che nel 2016 una ragazza piena di vita e voglia di fare come Martina venga giudicata dal mondo, compreso quello del lavoro, per il suo aspetto fisico e non per le sue capacità intellettive e pratiche. Non è giusto che debba essere presa in giro da chi non comprende che “il culone” che li fa tanto ridere – così racconta Martina, sbeffeggiata per strada – è causato da un problema che può portare anche alla morte, e vi dirò di più: mettendo da parte le buone maniere e anche l’essere politically correct, vi confido che mi piacerebbe aprire le calotte craniche di questa gente dal giudizio stupido e facile, per capire quanti kg di letame vi siano al loro interno. Immagino più di 140. Già.

Chiudendo la parentesi poco correct, a Martina auguro di riuscire a sconfiggere il problema che mette in pericolo la sua salute – per sé stessa, non per gli altri – e soprattutto, che nel frattempo un datore di lavoro sensato ed intelligente, voglia giudicare la sua mente, prima del suo corpo.

Alla prossima.

Alessandra Crinzi

 

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