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Risse, accoltellamenti e ‘spedizioni punitive’: da Willy a Romeo, giovani vite spezzate durante il ‘lockdown cerebrale’ della pandemia

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Romeo e Willy

Alessio, Jonathan, Vincenzo, Francesco, Filippo, Willy, Romeo. Nomi diversi e storie diverse, ma tutte con lo stesso tragico finale. Ragazzi giovani, nel pieno della vita, uccisi per mano di altri. Risse violente, baby gang e spedizioni punitive in stile mafioso. E armi che con troppa disinvoltura, in una società sempre più malata, vengono usate da ragazzini. Episodi che lasciano l’amaro in bocca, fatti che non vorresti mai trovarti di fronte. Ma che a volte la vita ti “sbatte” davanti, quasi a ricordarti che qualcosa non va. Cronache di pagine nere, di una realtà labile e che a tratti rasenta l’assurdo. Scene che ricordano quelle di un film violento. Ma non siamo su un set né tantomeno in una sala cinematografica. E quello che, quasi all’ordine del giorno, stiamo vedendo è uno spettacolo triste. Per nulla lodevole.

Tutti alla ricerca di una spiegazione, lì dove la logicità fa fatica a reggere. Perché siamo arrivati a tutto questo? Perché i nostri giovani “gironzolano” con i coltelli in tasca? Perché “padroneggiare” un’arma fa sentire i nostri ragazzi “potenti e invincibili”? Le vittime ci sono, hanno una storia, un passato. Non più il futuro. In una battaglia in cui esistono solo i vinti, in una rissa – tra calci e pugni – senza vincitori. Riflettere fa bene, ma forse non basta più. Abbiamo il diritto di lasciare ai nostri giovani un mondo migliore, far capire loro che la realtà non è quella di un videogioco. Il prezzo che è stato pagato, spesso, è troppo caro: la vita va vissuta, tutelata, preservata, protetta con i denti e con le unghie.

La colpa di una generazione abbandonata a sé stessa di chi è? Di internet, dei social, del loro cattivo e improprio uso? Tutti pronti a puntare il dito, ma la violenza è sempre esistita: si è forse “solo adattata” a quelli che sembrano essere i nuovi mezzi. Una società che punta sempre più all’apparenza e che sta dimenticando che nessuno è “intoccabile”.

Giovani ragazzi uccisi: chi decide di mettere la parola fine alla propria vita perché bullizzato, spento da quei commenti cattivi che sul web si moltiplicano. E chi, invece, viene preso a pugni, a coltellate e ucciso in una rissa, spesso scatenata per futili motivi. Non ci si può rassegnare e non ci si deve abituare a tutto ciò. Piuttosto, bisognerebbe spingere i ragazzi a coltivare le loro passioni, a credere in loro stessi, a riscoprire i valori di un tempo. Perché, seppur nascosti, ancora ci sono. Di invincibile non c’è nessuno. E un’arma in mano non rende forti, ma ha conseguenze terribili, dalle quali non si torna indietro.

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