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Roma. Alcuni manifestanti di “IoApro” ricevuti dal Governo Draghi: le novità

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Manifestanti Io Apro

Un anno dopo dall’inizio della pandemia la speranza sta svanendo sempre di più. In un clima di totale disillusione e sfiducia perché è cambiato ben poco. A Giuseppe Conte è subentrato il premier Draghi, al termine lockdown si “preferisce” zona rossa, ma agli italiani si continua a chiedere di fare ancora sforzi perché il virus corre, i contagi sono tanti e il numero dei morti al giorno fa paura. Peccato, però, che il Coronavirus – che in questi mesi non ha mai fatto distinzioni, rendendoci tutti uguali di fronte al dramma – sta continuando a fare tante vittime. Non sono morti (purtroppo) solo quelli che non sono riusciti a vincere contro questa malattia subdola e terribile. Stanno morendo anche tante piccole (e grandi) attività, tante persone che non riescono ad andare avanti. Loro respirano, sono vive, ma spente nell’animo. Ferite da quelle tante promesse che, ancora, non si sono trasformate in certezze. In aiuti messi nero su bianco sì, ma che a volte non bastano. O, che forse, non sono mai bastati.

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Manifestanti ricevuti dal Governo Draghi

Ristoratori, fieristi, gestori di palestre e piscine, partite Iva. Sono solo alcune delle categorie ferme da mesi, alle prese con aperture e chiusure a intermittenza e ristori insufficienti. Oggi a Roma sono scesi in piazza (ancora una volta) i manifestanti di “Io Apro”. Hanno sfidato la pioggia e i divieti (visto che la protesta non è stata autorizzata) e hanno deciso di far sentire la propria voce. Un grido di aiuto che rimbomba. Ora, come fa sapere l’organizzazione sulla pagina Facebook, una delegazione composta da Umberto Carriera, l’Avvocato Nannelli e Stefano Agnesini, sta per essere ricevuta al MEF Dal Governo Draghi.

https://www.facebook.com/ioapro1501/posts/144933794235825

Con la speranza che vengano ascoltate e accolte le loro richieste: ritornare a lavorare, non vanificare i sacrifici fatti per una vita intera. Perché dietro ogni attività ci sono famiglie, ormai stremate. Chiedono di “vivere”, non più di “sopravvivere”. 

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