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Sentenza Marco Vannini: ‘Crudeltà, depistamenti, ripetute menzogne’

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marco vannini

Sono arrivate finalmente le motivazioni della sentenza che il 30 settembre 2020 ha condannato tutta la famiglia Ciontoli per omicidio. E sono parole durissime, lucide e che finalmente fanno chiarezza su tutto quello che non doveva accadere ma è accaduto quella notte tra il 17 e il 18 maggio del 2015.

“Quello che abbiamo detto noi per cinque anni finalmente è stato scritto” mi dice mamma Marina appena lette queste 85 pagine che tracciano finalmente (e speriamo definitivamente) la verità sulla sorte del povero Marco. Almeno quella verità processuale a cui si è potuto arrivare, nonostante,  scrive l’estensore della sentenza la “lacunosità delle prime indagini”. Lacune che come sappiamo hanno privato di verifiche tecnico scientifiche le dichiarazioni rese dagli imputati, unici testimoni dell’omicidio.

Il Giudice inizia con una stizzita replica a chi, tra gli avvocati difensori di Ciontoli, aveva bollato questo processo come già scritto. A pagina 19 infatti si legge che: “Nessuna decisione può considerarsi assunta sino al momento in cui la Corte abbandona la camera di consiglio per dare lettura del dispositivo. Opinare diversamente significa non nutrire particolare rispetto né nei confronti della magistratura togata e ancor meno nei confronti dei giudici popolari, dovendo ricordare come a decidere siano otto persone.” 

Marco Vannini (Foto dal libro Mio figlio Marco – Armando Editore)

E i giudici puntano dritto al punto, senza girarci troppo intorno. e lo fanno con chiarezza e con parole che raramente avevo letto così severe nei confronti dell’ “ Incredibile è il comportamento assunto dai componenti della famiglia Ciontoli” 

Nulla sfugge alle analisi del Giudice Gianfranco Garofalo e ai giudici al suo fianco sia riguardo alle mancate tracce di sangue nel bagno e delle impronte sul bosso, finanche alla strana dichiarazione di Antonio Ciontoli che, nell’ultimo giorno prima della Sentenza aveva parlato di un orario diverso dello sparo. E infatti essi scrivono e puntualizzano a pagina 21: “Può considerarsi un semplice tentativo quello messo in atto dalla difesa di spostare tale momento di inizio di circa quindici minuti, quindi alle 23:30 per ridurre così il tempo dell’omesso intervento decisivo in favore della vittima come se tale lasso di tempo potesse incidere in maniera determinante sulla responsabilità degli imputati.” 

Lo scritto poi, oltre a demolire punto dopo punto le ricostruzioni degli imputati addirittura raccogliendole in un capitolo a parte titolato : CONTRADDIZIONI, si esprime con durezza prima nei confronti di Viola Giorgini, una teste ammessa a quest’ultimo processo, sia nei confronti di Martina.

Per Viola infatti si legge: “… si evince come la deposizione della Giorgini abbia dimostrato una assoluta assenza di credibilità della stessa e della sua propensione alla reticenza su fatti certamente a sua conoscenza per avervi preso parte”.  Può bastare? per il Giudice evidentemente no, perchè nella pagina successiva scrive: “Su una cosa la Giorgini ha però contribuito forse involontariamente, a fare chiarezza: Secondo la sua testimonianza sollecitata più volte sul punto, non appena lei e Federico ebbero a sentire il forte rumore che proveniva dal bagno della sua abitazione ed erano usciti subito dalla stanza dove si trovavano e avvicinati al bagno e aveva sentito provenire dall’interno la voce sia di Antonio che di Martina che, quindi, si trovava all’interno del bagno nell’immediatezza dello sparo”.  

E su Martina quindi che la giuria e la sentenza puntano il dito. Perché il nodo di tutto è sempre quello: Martina era presente allo sparo, come lei stessa dice e mima a gesti nelle intercettazioni ambientali di poche ore dopo il fatto sul divano della Caserma di Civitavecchia?

Questa sentenza bolla come “parte più inverosimile della sentenza di primo grado” proprio la parte in cui si afferma che Martina non sia presente. No, per la Corte di Appello di Roma non c’è certezza, smontando in tre pagine la prova della assenza di particelle di polvere da sparo e spiegando che, come affermato nel primo processo dai RIS, essa non sia affatto una prova di assenza, dato che la stessa era stata repertata troppe ore dopo lo sparo stesso.

Ma non solo, per Martina e per la sua famiglia si usano parole di fuoco quando, a pagina 48 si scrive: “Orbene, ove si abbia riguardo; alle spiegazioni inverosimili degli atteggiamenti da loro assunti, che in taluni casi rasentano una vera e propria crudeltà nei confronti di un ragazzo ferito che urla di dolore e che viene rimproverato per questo motivo, un ragazzo che è stato ed è il fidanzato di Martina e che il Ciontoli afferma di tenerlo in considerazione come un figlio”.Ma non è finita: ” Ed allora è da chiedersi come sia possibile che il rumore prodotto da un colpo di arma da fuoco calibro 9 soprattutto in un ambiente ristretto come quello del bagno in casa Ciontoli (…) venga da tutti colto come – Un tonfo – come un rumore di un oggetto che cade e soprattutto, una volta sentita l’esplosione, accertato che Marco risulta ferito e viste le pistole in bagno, qualcuno di media intelligenza possa credere alla versione del – Colpo d’aria – propinata a dire di tutti da Antonio. Colpo d’aria che poi diventa un buco procuratosi con un pettine a punta!”

No, per i giudici non ci sono dubbi, e quello che la famiglia Vannini e i suoi legali Celestino Gnazi e Franco Coppi hanno sempre affermato in punta di logica, appare per la prima volta scritto in una sentenza: “Martina Ciontoli è in bagno ed assiste allo sparo del padre, quindi: ha sentito una forte esplosione, la reazione di Marco al ferimento e la fuoriuscita di sangue per cui non può ignorare cosa sia successo; Eppure, invece di intervenire per aiutare quello che sino a pochi minuti prima è stato il suo fidanzato, aiuta il padre a depistare le indagini …(…) e alle domande dell’infermiera Bianchi che le domanda cosa sia successo risponde che non lo sa perchè non era presente, passando da una condotta passiva consistita nel tacere a una attiva consistita nel fornire false informazioni sulla sua presenza in modo da non dover raccontare la verità”. 

Le ultime pagine appaiono quasi di rammarico nel non poter infliggere una pena più severa ai tre componenti della famiglia oltre Antonio, proprio per le attenuanti generiche inattaccabili in questo processo concesse a Ciontoli padre nel primo grado. Si legge infatti che per Martina, Federico e Mery: “è vero che il mutamento del titolo di reato (da colposo a volontario con dolo) … consentirebbe di procedere ad una loro valutazione ex novo, ma non può esser valutato un trattamento sanzionatorio più punitivo ai tre imputati a fronte di quello inflitto ad Antonio Ciontoli, chiamato a rispondere di condotte più gravi e persistenti”. 

Se la Cassazione nella prossima estate non stravolgerà questa sentenza, potremmo metter fine pur con tanti punti oscuri alla storia processuale di Marco e dei suoi assassini. Resteranno negli occhi e nelle orecchie le battaglie per la Giustizia di Marina e Valerio, che questa sentenza almeno sembra aver concesso seppur, e (lo dicono quasi tra le righe gli estensori) soltanto in parte, tanto solo state lacunose indagini e tanti gli errori dei precedenti processi.

Io, per conto mio, a Marina e Valerio dedico questa frase della poetessa bulgara Blaga Dimitrova, che riguardo alle dure lotte per la verità scriveva: “Nessuna paura che mi calpestino. Calpestata, l’erba diventa sentiero”.

Mauro Valentini

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