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Teresa Manes: il ruolo di una madre oltre la morte

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In occasione dell’incontro previsto per il 14 Dicembre 2018 presso Villa Francesca (Pomezia), ho intervistato Teresa Manes che presenterà il suo ultimo libro come spunto di discussione sul problema bullismo e cyberbullismo.

(Brani da Andrea oltre il pantalone rosa)

20 novembre 2012.

Sono circa le 17. Sono a casa dei miei. Il telefono squillava. Ricordo la fretta che avevo. Volevo chiudere in fretta quella chiamata per rimandarla alla calma serale. Dovevo pure fare la pipì.

Gli squilli cessarono, rotti da un silenzio «pasticciato» come se il cellulare fosse caduto dalle mani. D’un tratto «aiuto… aiuto… AIUTOOOO» sentì gridare dall’altra parte. Le urla disumane di Tiziano. Non ho mai udito qualcuno gridare a quel modo.

«Andrea…» suonò potente, «SI E’ IMPICCATO!».

… il dolore, nelle sue esternazioni, si fa anche delirio.

Inizia così la storia di Teresa Manes mamma di Andrea, nel suo libro «Andrea oltre il pantalone rosa» ne racconta i momenti più duri con una scrittura diretta, senza metafore e giri di parole.

La nostra telefonata è stata lunga, una voce presente e consapevole ha risposto con chiarezza alle mie domande; fa capolino in alcuni passaggi la caratteristica intonazione morbidamente materna.

Dopo il saluto iniziale mi parla subito di Daniele l’altro figlio che oggi ha sedici anni, e come tutte le altre mamme è in ansia per le uscite e le nuove richieste che un giovane ragazzo fa.

L’INTERVISTA

D: Ho letto il tuo libro «Andrea oltre i pantaloni rosa» ed è il racconto del dolore, dettagliato e preciso anche nel suo irradiarsi nel corpo.

R: Ho voluto raccontare quello che ho provato in quei momenti, per poter mettere fuori un tormento che non andrà via. Il dolore è fatto di diverse componenti come la disperazione, l’incredulità, la rabbia, la paura e anche la fisicità ne è coinvolta.

D: Il titolo del libro porta il nome della pagina Facebook che qualcuno ha creato per Andrea, quando aveva appena tredici anni. Durante quei giorni di estremo dolore hai ricevuto la telefonata della rappresentante di classe e da lei hai saputo dell’esistenza del profilo falso.

R: Da quella telefonata scoprii il diverso orientamento sessuale che avevano attribuito a mio figlio a causa di un falso profilo Facebook. Mi è stato detto che quel profilo l’aveva creato lui per la sua teatralità, ma Andrea non ha mai eseguito l’accesso a quella pagina né dal suo computer né da casa. Ma allora non mi sono accorta di avere avuto un figlio tanto diabolico! La pagina è stata chiusa subito dopo la morte di Andrea ma sono riuscita a mettere insieme dei pezzi per portarli a giudizio.

D: Nel libro parli del rifiuto che Andrea ha ricevuto a San Valentino da una ragazza.

R: Sì, lui ne era quasi ossessionato. Ma come succede nei giovani dopo un periodo di tristezza ha continuato la sua vita, anzi, dalle chat si evince che Andrea voleva comunque mantenere la loro amicizia. In quel famoso profilo falso fatto di ventisette seguaci era presente anche questa ragazza.

D: Leggendo mi sono fatta l’idea che forse vedere tra i seguaci di quella pagina la ragazza che gli piaceva potrebbe aver causato vergogna…

R: La mia idea è che Andrea non si sia sentito vittima, lui ha usato l’autoironia per allontanare gli attacchi. Forse avrà riso su quelle battute, poi l’imbarazzo per la presenza nella pagina di quella ragazza. Lui ha allontanato psicologicamente quello che stava accadendo. Era remissivo ha accettato quel ruolo che gli avevano dato per difendersi. Ma con il tempo non ha più retto il peso.

D: Nei giorni precedenti hai notato un cambiamento in Andrea?

R: Come tutti i ragazzi aveva i suoi alti e bassi. Ma tutti abbiamo i nostri momenti «no» e i suoi, sporadici, glieli lasciavo vivere, con un occhio attento e sempre discreto. Se pure in casa era stato bravo a nascondere un disagio, in alcune chat scrive e lascia intuire un suo male di vivere, compresa una richiesta d’aiuto, che lui stesso fa a degli amici confidando un primo tentativo fallito di suicidio fatto con una cintura.

D: C’è stato calo nel rendimento scolastico?

R: Sì, Andrea era un ragazzo preparato e andava a scuola con piacere. Il calo dei voti c’è stato ma io l’ho imputato al cambiamento dell’istituto, veniva da un ambiente ovattato ed è passato in uno dove l’impatto è forte. Mi sono pentita di quella scelta, avrei dovuto mandarlo da subito in una scuola statale per prepararlo alla vita.

D: Hai avuto appoggio dalla scuola?

R: No, i dirigenti scolastici non accettano il pensiero del bullismo nei loro istituti. E diventa così anche colpa della scuola non dotarsi dei mezzi necessari ad eliminare atti di bullismo prevedendo ad esempio un consultorio, anche un insegnante addetto ai problemi di bullying.

D: E i genitori?

R: Pure. Se non ci sono le coltellate è sempre una ragazzata.

D: Com’è finito il percorso giudiziario?

R: Il magistrato ha riconosciuto l’esistenza della pagina ma ad oggi la legge sul cyberbullismo è monca: se non ci sono i numeri sufficienti di like e commenti denigratori non può essere definita violenza virtuale. Non ho potuto fare altro anche per un dispendio economico, devo pensare anche a mio figlio Daniele.

D: Nel tuo ultimo libro «Diario di giorni difficili» sembra quasi di vedere una Teresa adolescente, in un tentativo di volersi mettere nei panni dei giovani di oggi per capirne di più. Chi ti ha aiutato in questa impresa?

R: Mi ha aiutato mio figlio Daniele, lui è autore di due testi premiati nel concorso che ho pensato per il racconto di questo libro. Insieme vogliamo fare il possibile… forse per salvare il mondo? Non lo so, ma sento di doverlo fare.

D: Scrivi e vai in giro per l’Italia portando la storia di Andrea tra i giovani. Ti hanno mai accusata di speculare su questa terribile vicenda?

R: Sì, sono stata accusata di questo più volte. Chi conosce l’editoria sa che i guadagni sono molto bassi e per il genere di libri che scrivo io ancor di più. Quando vado nelle scuole mi precedono le copie da distribuire ai ragazzi, per dare spunti di riflessione e discussioni con gli insegnanti. Mi è capitato di stare con trecento ragazzi avendo distribuito solo cinquanta copie. Per un periodo ho avuto una ONLUS ma l’ho dovuta chiudere perché non tutti sono disposti a collaborare senza guadagni.

D: Come stai adesso? Senti ancora la tensione nei muscoli?

R: Quella tensione la metto fuori parlandone. Mi scarica e faccio un processo di elaborazione continua cercando di sensibilizzare le persone verso il bullismo.

D: Nel libro parli di pensieri illogici, delle paure per qualcosa che potrebbe accadere a Daniele. Capita che scarichi queste ansie su di lui?

R: No, lui non può prendersi un carico di ansie mie. Lui deve fare il suo percorso e sa che noi ci siamo per qualsiasi cosa. Non voglio e non posso sapere tutto di mio figlio, non sarebbe giusto.

D: Credi ancora nei giovani?

R: Assolutamente sì, non esiste l’adolescente cattivo. Spesso agiscono con leggerezza ed è lì che bisogna intervenire, ma possiamo farlo solo con l’aiuto dei genitori e della scuola. I giovani sono una grande risorsa, li vedo commossi e partecipativi ad ogni incontro. E spero che una volta ritornati a casa ne possano parlare con i genitori.

(…) Vivo un tormento senza fine che voglio imparare a governare… e non solo! (…) amerò sempre e tanto ma in modo più «sganciato» e questo perché permane quella maledetta paura della perdita.

Grazie Teresa.

Dott.ssa Sabrina Rodogno

 

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