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Sconfitta al Tar dei privati, il vincolo MiBact è salvo: bocciato anche il ricorso di Cogea

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“Chi, come l’Amministrazione a guida Movimento 5 Stelle si ostina ad attaccare il Vincolo conoscerà, ancora una volta, il sapore della sconfitta, noi glielo abbiamo detto fino allo sfinimento, ora non ci resta che attendere le valutazioni del TAR del Lazio”.

Suonano quasi come una profezia queste parole pronunciate dal gruppo No Biogas Pomezia alla vigilia dell’udienza dello scorso 16 ottobre al Tar, quando il tribunale amministrativo si era riunito per esaminare i ricorsi di alcuni privati avverso il vincolo sull’agro di Pomezia e Ardea posto dal Ministero dei beni culturali. E oggi, all’indomani della pubblicazione delle sentenze – che possiamo già definire storiche da parte dell’organo giudiziario, possiamo affermare con risoluta certezza che parole più azzeccate non si sarebbero potute utlizzare.

Il Tar del Lazio ha infatti respinto tutti i ricorsi dei privati ritenendoli infondati. A dare l’annuncio di questa importantissima vittoria sono stati Giacomo Castro (Latium Vetus), Diego Casubolo (No Biogas Pomezia) e l’avvocato Stefano Rossi con quest’ultimo che ha difeso in aula cittadini e associazioni a favore del provvedimento ministeriale.

Sconfitta al Tar su tutta la linea, il vincolo MiBact è salvo (per ora): bocciato anche il ricorso di Cogea

E’ stata una disfatta totale quella dei privati al Tar, che hanno avuto il sostegno, seppur parziale, del Comune di Pomezia. A favore del vincolo a tutela dei 2.000 ettari della campagna romana e presenti in aula Latium Vetus, il Comitato di Quartiere di Santa Palomba, alcuni rappresentanti di No Biogas Pomezia e altri cittadini.

Le società ricorrenti, nel corso dell’udienza e attraverso la documentazione presentata in precedenza, hanno provato a mettere in discussione principi, motivazioni e aspetti tecnico-giuridici del vincolo denominato “Ambito delle tenute storiche di Torre Maggiore, Valle Caia ed altre della Campagna Romana nei Comuni di Pomezia ed Ardea” ma il Tar ha tirato dritto respingendo punto per punto le obiezioni sollevate.

Nello specifico i giudici hanno ritenuto infondati i ricorsi presentati dalle società Fial Immobiliare, Elma Real Estate, Taha Estata e soprattutto Cogea, con quest’ultima che vedrebbe così sfumare – per il momento – la possibilità di realizzare l’impianto di compostaggio (a futura possibile realizzazione a ‘Bio’gas) da 60mila tonnellate proprio dirimpetto alla torre duecentesca Tor Maggiore e in mezzo ad industrie a R.I.R.

Il tribunale amministrativo ha giudicato dunque infondate le motivazione addotte dalle ricorrenti andando così a legittamare in toto, in estrema sintesi, il lavoro del Ministero e delle belle arti.

Il Tar ha ribadito infatti che l’area rappresenta un “vero unicum paesaggistico di grandissimo valore storico” e che “il vincolo paesaggistico ha la funzione di tutelare l’assetto complessivo di una porzione di territorio ritenuta di valore sotto il profilo estetico o storico-culturale, al fine di prevenirne la modificazione e di garantirne la fruizione da parte del pubblico, conservando i valori di cui è riconosciuto portatore”.

“Le scelte operate dall’Amministrazione (il Mibact, ndr)” – continuano i giudici – “di salvaguardare il paesaggio rurale residuo anche in una area prossima ad area già compromessa paesaggisticamente da impianti industriali, risulta in linea con i poteri e gli obiettivi che le sono stati posti dal legislatore del codice.

Un altro passaggio fondamentale riguarda la bocciatura del ricorso presentato da Cogea la quale aveva sottolineato, nel difendere la propria posizione d’interesse, un “eccesso di potere per manifesta illogicità, travisamento dei fatti, inadeguatezza dell’istruttoria e della motivazione, sviamento, violazione dei principi costituzionali sul contemperamento degli interessi; erronea e falsa applicazione della VIA e del PTPR; assenza dei presupposti per la qualificazione come paesaggio dell’insediamento storico diffuso”.

La difesa ricorrente ha riportato anche le valutazioni effettuate nel corso del procedimento di VIA, in cui la direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici del Lazio aveva rilasciato parere favorevole all’intervento.

Tra tutti i punti sollevati questo era, a nostro avviso, il più rilevante ai fini del dibattimento.

Ma la risposta dei giudici della seconda sezione quater dell’organo amministrativo è stata netta: “La censura è infondata, in quanto l’Amministrazione dei beni culturali conserva integro l’autonomo potere di provvedere all’adozione del vincolo paesaggistico. Peraltro, nel caso di specie, il parere della Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici del 2014 già prescriveva l’attenzione alla salvaguardia della visuali della Torre Maggiore. Inoltre, come risulta dalla relazione allegata al decreto e dalle controdeduzioni alle osservazioni COGEA, il vincolo è stato posto proprio al fine di conservare e salvaguardare un tratto di campagna Romana caratterizzato da un sistema di Torri, casali e castelli che avevano il proprio centro nella Torre Maggiore, la cui chiusura, anche dell’ultimo lato ancora libero, in base alle valutazioni dell’Amministrazione farebbe sostanzialmente venire meno la stessa ratio del vincolo. Tali valutazioni, ampiamente discrezionali, operate dall’Amministrazione, non superano il limite della illogicità e irragionevolezza, rispetto allo stato dei luoghi risultante dalla documentazione prodotta in giudizio sia dalla parte ricorrente che dall’Amministrazione”.

Ora i privati avranno la possibilità di impugnare la sentenza al Consiglio di Stato.

 

 

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