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Bullismo: “I bambini non nascono cattivi”, lo diventano. Ne parla l’esperta Maria Tinto

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Il bullismo non trova freno, e ancora i fatti di cronaca ci raccontano di una società in cui questo gravissimo tarlo piega vittime e carnefici, di ogni età e persino docenti, come è di recente avvenuto all’insegnante di Lucca.

Abbiamo chiesto il parere all’esperta maria Tinto, autrice di “I bambini non nascono cattivi”.

Più che mai questo suo saggio è pertinente e la psicologa, esperta nella terapia infantile spiega così:

“Per i fatti di Lucca, come per altri simili fattacci, cercare le colpe vuol dire già ammettere una sconfitta.

Ai colpevoli viene inflitta una condanna, ma quando è una società intera a commettere errori, mi chiedo come si possa comminare una condanna appropriata.

I genitori certamente hanno grandi responsabilità, ma additarli come coloro che potrebbero ma non fanno, e se fanno sbagliano, non ci aiuta a trovare una strada per cercare di arginare questa deriva delinquenziale della nostra gioventù.

Se è vero che “I bambini non nascono cattivi”, è pur vero che lo diventano quando vengono “formati” a fare i “cattivi”.

L’adulto per un giovane è il modello che modella.

Cosa vuol dire?, vuol dire che l’apprendimento avviene soprattutto attraverso l’osservazione, poi c’è la messa in opera di quanto si è appreso.

I modelli che vengono quotidianamente proposti ai giovani sono quelli della prepotenza, fisica e verbale, basta accendere la tv per essere subito sopraffatti da programmi dove l’etica e l’educazione sono bandite.

Poi c’è la violenza dilagante del modello culturale, sempre più in voga, del ”io sono più di te”, “io valgo di più”, “io ho più di te”… e quindi “posso”…che si traduce in azioni contro l’altro, azioni messe in atto per soddisfare i propri bisogni, senza rispetto per nessuno.

Una forma di competizione ad libitum , in cui il potere del fare si impone su ogni logica del buon senso e dell’educazione.

Poi c’è la possibilità fornita dai social di mettere in rete ogni sorta di banalità, di oscenità e di violenza, per riscuotere consensi e “sentire” di esserci, di esistere per gli altri, ma soprattutto per se stessi.

Questa moda, che fornisce solo un futile inganno di appartenenza, perché sappiamo bene che il mondo virtuale è illusorio, denota un tratto istrionico-compulsivo dei nostri tempi, che coinvolge tutti, genitori, figli, insegnanti, senza contare il rischio che l’effetto imitazione può sortire, con una pubblicizzazione eccessiva della loro messa in onda.

Poi c’è la Famiglia, che sta vivendo una trasformazione non solo strutturale, rispetto alla sua composizione, ma soprattutto etica/concettuale.

Calata in una dimensione allargata, aperta, telematica, che non riconosce luoghi di appartenenza, non avendo confini definiti, diventa accessibile a tutti. Vacillante, indifesa, svuotata, la famiglia subisce la fascinazione di molteplici seduzioni, a cui non riesce a sfuggire e da cui non riesce ormai a proteggersi, anteponendo la soddisfazione dell’io a quella del noi, senza alcuna previsione di rinuncia nella realizzazione del proprio individualismo, vive un tempo che non le appartiene se non nell’eccezione semantica, come l’insieme di persone che abitano una stessa casa.

In questo contesto senza dubbio la classe genitoriale va riformata, perché i genitori non hanno più consapevolezza piena dell’importanza del ruolo che hanno nella vita dei figli.

Per cui i figli si trovano, da una parte con genitori superficiali, disattenti, assenti, svalutanti, esibenti, discontinui, ipertutelanti quando li proteggono oltre ogni limite, giustificandone le malefatte, e per non ammettere le proprie incapacità e debolezze personali, abdicano al loro ruolo genitoriale di educatori e di guida, dall’altro si ritrovano con una scuola che si sottrae ad ogni forma di contenimento pedagogico, e per non ammettere le proprie incapacità funzionali, accetta e giustifica le forme di irriverenza che subisce.

Insegnare il rispetto del ruolo di ciascuno, questa è la priorità, perché se un genitore non sa riconoscersi nel proprio ruolo rispetto al figlio, così come un’insegnante di fronte al suo allievo, non c’è il riconoscimento dell’altro, che vuol dire assenza totale di rispetto.

Abbassare la testa davanti ad un atto intimidatorio, non è mai una mossa vincente, specialmente quando a subirlo è una figura che ha avuto l’ investitura di ”autorità” istituzionale.

C’è un vuoto che ingoia i nostri ragazzi, un vuoto educativo di rispetto verso l’altro.

Una maleducazione imperante, che né famiglia né scuola sono in grado di correggere.

Allora bisogna chiedersi se sia il momento di pensare ad un nuovo modo di considerare la famiglia e la scuola, due facce della stessa medaglia che “comunicano” poco e quando lo fanno non usano lo stesso linguaggio.

In questo vuoto educativo i giovani sono annientati, sono soli, perché non hanno nessuno che li ascolta, e, paradossalmente, nonostante siano immersi in una comunicazione “social globale”, non hanno amici con cui parlare di sé, non hanno nessuno con cui raccontarsi, perché in questo silenzio generazionale, non c’è nessuno in ascolto.

Ci sono i bulli e ci sono le vittime, entrambi un prodotto dei nostri tempi, che vedono sempre di più l’individuo posto al centro di se stesso, che si sente il dio di se stesso, perché non c’è più verticalità.

La responsabilità della famiglia e della scuola è grande, e non è solo rispetto ai figli e agli allievi, ma è responsabilità sociale, perché famiglia e scuola rappresentano la pietra miliare per la crescita di una società civile.”
Quanto leggiamo è verità sconcertante e pesante di cui dobbiamo tutti prendere coscienza.
Per prendere contatti con

Maria Tinto: psicoterapeuta – 3338586641.

Marina Cozzo

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