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“La Ciangazza”, il nuovo racconto di Nicola Genovese

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Eccoci nuovamente all’appuntamento settimanale con i racconti di Nicola Genovese, autore dei romanzi “Il figlio del prete e della zammara” e “Il nipote del prete”.

Questa volta siamo in Sicilia, a Palermo. Nel racconto si sentono non solo i sapori della Vucciria, ma anche i “dolori” nascosti nelle piaghe più profonde di un posto dove ancora la criminalità “detta legge”. 

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Nel dialetto siciliano spesso si usa dire : “Pippo ciangazza” o “Ninu ciangazza” ,per indicare un individuo a cui manca un dente anteriore, ben visibile come una “fessura”.

Ma la “ciangazza” di cui vi parlo è ben altra cosa… molto triste e avvilente.

A Palermo viveva una famiglia “sbalestrata”, priva di sentimenti e di valori .

La mamma, Nunzia, aveva un banco del pesce alla “Vucciria”, famoso mercato rionale. Anticamente era destinato alla vendita delle carni, ma in seguito fu sostituito dal pesce e da frutta e verdura.

Trascorreva tutta la mattina davanti al suo banco e verso le 14,00 rientrava a casa.

Il marito era stato condannato all’ergastolo per un efferato delitto.

Lei conviveva con un buono a nulla, pusher della droga e dedito all’alcol. Aveva una figlia sedicenne e un figlio di quasi sei anni.

La figlia, Nina, da due anni era stata avviata dalla madre a prostituirsi con uomini che lei stessa gli procurava.

Erano amici del mercato e pertanto persone “fidate”.

Pagavano bene, vista la “merce giovane”, e la sicurezza degli incontri nella casa di abitazione.

L’omertà in quegli ambienti era d’obbligo.

La giovane non aveva voluto studiare. Il primo rapporto lo aveva avuto a 14 anni, con un ragazzo di 25 anni, che le aveva regalato un costoso profumo. Era contenta del suo “lavoro”, poiché con una parte dei soldi che la mamma le passava, poteva permettersi i “lussi” delle ragazze della sua età, come lo smartphone, i profumi, alcuni gioielli, e tanti vestiti che non avrebbe mai potuto comprare se non si fosse prostituita.

 

L’unica persona che si salvava dal marciume di quella famiglia era Turi, il bambino di sei anni che aveva la sua

stanza accanto a quella della sorella.

Era sempre chiusa, ma dalla “ciangazza” della porta vedeva tutto quello che succedeva. I primi tempi non si rendeva conto di quello che avveniva all’interno della camera da letto.

Quando chiedeva spiegazioni alla mamma, lei rispondeva che quelle persone erano degli amici che volevano bene alla sorella.

Ogni tanto anche il “padrino” approfittava della ragazza e, quando la mamma se ne accorgeva, erano liti furibonde.

I vicini di casa, per lo più gente che aveva a che fare con la giustizia, si facevano gli affari loro.

Giunse finalmente il giorno in cui Turi iniziò ad andare a scuola. Era felice di uscire da quella prigione.

Gli piaceva lo studio e leggeva molto. Quando ritornava da scuola, si chiudeva nella sua stanza, si dedicava alla lettura e raramente guardava ancora dalla “ciangazza”.

Aveva intuito che, al di là di quella porta, c’era un mondo che non gli apparteneva e che istintivamente rifiutava.

Lo cominciò a capire meglio quando un giorno la maestra gli dette come tema da svolgere a casa: “Descrivete la vostra famiglia”.

Turi fece una narrazione dettagliata di tutti i componenti della famiglia e raccontò minuziosamente cosa avveniva tra le mura della sua casa.

Ne venne fuori un quadro catastrofico. La maestra, dopo averlo letto, informò subito la Direttrice della Scuola.

Insieme decisero di parlare riservatamente con il bambino.

Lo chiamarono nella biblioteca della scuola e la maestra, con la quale aveva un ottimo rapporto,  gli disse: “Turi, abbiamo letto il tuo tema. È bellissimo e scritto molto bene. Ma quello che tu racconti è frutto della tua fantasia o è la realtà?”

“Grazie signora per i complimenti – rispose – ma quello che ho scritto è la realtà di tutti i giorni. Non c’è una parola inventata. Glielo posso giurare”.

Lo congedarono con un “bravo”, e s’intrattennero a parlare.

I fatti descritti, con dovizia di particolari, avevano sconvolto gli insegnanti, che decisero di parlarne con l’assistente sociale.

Era un caso grave e preoccupante! L’assistente sociale riferì il tutto al giudice per la tutela dei minori.

Lei stessa fu incaricata di verificare presso la famiglia le condizioni in cui Turi viveva.

Arrivò un pomeriggio a casa del ragazzino ed ebbe la risposta a quanto descritto da Turi.

Trovò il padrino ubriaco, la sorella e la madre con abiti succinti, sbragate su un divano lercio e puzzolente, a prendere il caffè in compagnia di due uomini.

Il bambino chiuso nella sua stanza a studiare.

Non c’erano dubbi su quanto aveva raccontato Turi.

Furono subito avviate delle indagini da parte della polizia che portarono all’arresto della mamma per sfruttamento della prostituzione, mentre del patrigno per detenzione e spaccio di droga.

Turi e la sorella furono affidati a una casa famiglia.

La giustizia era intervenuta tempestivamente…ma quante ferite aveva lasciato nello spirito di Turi e della sorella…!

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