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Sul caso del genitore che ha picchiato il docente a Roma, la condanna della psicologa Maria Tinto

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Sul caso del genitore che ha picchiato il docente dell’Istituto Tecnico Industriale Di Vittorio Lattanzo a Roma, il 13 giugno, perchè non accettava la bocciatura del proprio figlio, ci fa un quadro la psicologa e psico-terapeuta Maria Tinto.

“Il genitore è colui che genera e alleva la propria progenie, nel senso che la cresce e la educa.

Fin qui è tutto chiaro, almeno nelle definizioni. La cosa si complica quando ci riferiamo al modo in cui il genitore utilizza per allevare la propria progenie.

Ero in prima elementare e a scuola mi accompagnava sempre mio nonno. Ricordo che si fermava sulla soglia della classe e, col cappello tra le mani, salutava ossequiosamente la mia maestra, lei gli rispondeva con un inchino del capo ed un accenno di sorriso.

Quella breve ma intensa “cerimonia”, si replicava tutte le mattine. Mentre io mi apprestavo a raggiungere il mio banco, aspettavo che la maestra, con un cenno degli occhi, mi desse il permesso di sedermi.

Mio nonno mi consegnava in questo modo alla maestra, e sommessamente mi lasciava ai suoi insegnamenti.

Tutto si svolgeva senza intoppi, mio nonno, il suo cappello, l’ossequio, il saluto.

A ben pensarci, non era un semplice buongiorno, ma qualcosa di molto più profondo, un modo per definire i ruoli di ciascuno di noi, un modo per dare valore all’altro: nonno, maestra, allieva e nipote, ognuno di noi sapeva quale era la sua parte, quale era il suo posto, senza nessun bisogno di affermarlo né di dirselo.

Mi viene da pensare, quindi, che uno dei tanti “modi” di “allevare” un figlio, è insegnare il rispetto dei ruoli.

Se a quindici anni mio padre fosse venuto al Liceo, che all’epoca frequentavo, e avesse preso a pugni il mio professore di matematica, proprio quel professore che mi faceva penare non poco nella sua materia, sarebbe stata per me una vergogna, o meglio una figuraccia “all’ennesima potenza”, come si soleva dire tra noi studenti, del resto solo un attacco di follia avrebbe potuto portare mio padre ad un gesto simile, perché sarebbe stato considerato, e non solo da noi tutti in famiglia, il gesto di un folle.

A dire il vero, non ero brava in matematica, e non capivo il comportamento dei miei genitori, che invece di sostenere la mia opinione, non proprio rispettosa del professore, mi esortavano a studiare di più, visto che era la materia che mi piaceva di meno.

La matematica era un mio limite, lo accettai, me ne feci una ragione, e fu così che cominciai a studiare quella materia con più interesse e più impegno.

Divenne la materia a cui dedicavo gran parte delle mie ore di studio. E fu così che divenne il mio punto di forza.

Cominciai a prendere voti alti in matematica, ed anche ad aiutare qualche compagno di classe rimasto indietro.

Questo mi diede la dimensione di quello che potevo fare, cominciai a pensare che nulla mi poteva essere impossibile da realizzare, se mi fossi impegnata sufficientemente.

Avercela fatta con la matematica mi apriva le porte al mondo.

Dunque, un genitore nell’allevare i suoi figli dovrebbe trasformare i limiti dei figli in risorse. A mio avviso, questo è uno dei compiti più importanti di un genitore.

Gli episodi che, sempre più frequentemente, vedono genitori protagonisti di atti violenti, ogni qualvolta il proprio figlio riporta “un fallimento”, e rivolgono la loro frustrazione verso insegnanti, allenatori sportivi o avversari di squadra, mi inducono, con sempre maggiore convinzione, a pensare che questi genitori sono la rovina dei figli.

Il loro modo di reagire è espressione del vuoto esistenziale di cui sono essi stessi vittime, ma da cui non vogliono staccarsi, perché l’amore per se stessi è più forte dell’amore per gli altri.

Hanno la necessità di mostrare il loro figlio al mondo, sperando in questo modo di mettere in luce il prodotto della loro bravura.

Sono evidentemente esibizionisti sfrenati del proprio narcisismo.

Il figlio è uno strumento, un mezzo per esprimere le loro presunte “capacità genitoriali”.

I genitori narcisisti sono la rovina dei figli, perché sovvertono le regole sociali, anteponendo se stessi a tutto, mettendo in atto un disastroso relativismo educativo, dove tutto è permesso, dove non esiste rispetto per i ruoli né per la gerarchia sociale, dove il sovvertimento delle regole è strumentale al soddisfacimento dei propri bisogni.

Questi genitori sono l’esempio più becero dei nostri tempi, intrisi di individualismo e crisi esistenziale.

C’è anche da dire che, dando sfogo in questo modo alle loro insoddisfazioni, danneggiano non solo il proprio figlio ma anche quelli degli altri, perché il modello genitoriale disfunzionale che propongono è quello della violenza e della sopraffazione.

I figli degli altri potrebbero pretendere dai loro genitori la stessa “ pseudo difesa” sine limitum e ad libitum ovvero “senza limiti e a piacere”.

Tutto questo è terribilmente pericoloso, perché il genitore è il “modello che modella”, ovvero colui che traccia l’impronta del figlio e dunque, quale impronta potrà mai lasciare nel figlio un simile genitore?

Senza considerare le ripercussioni che un siffatto modello genitoriale disfunzionale può apportare nella vita del figlio, causandone un vissuto con una bassa autostima.

Infatti un ragazzo a cui non è concessa alcuna sconfitta, si sentirà un perdente nella vita, senza contare che potrebbe divenire una vittima dei bulli.

Da adulto potrebbe riportare un vissuto depresso, con la credenza di essere “un fallito” e di “non potercela fare”, non essendo riuscito a soddisfare le aspettative del genitore.

Potrebbe generare anche qualche forma di dipendenza.

Ma potrebbe anche aderire al modello disfunzionale genitoriale e fare propri gli atteggiamenti ed i modi violenti e tiranneggianti, al punto da metterli in atto verso gli altri.

Inoltre potrebbe assumere condotte antisociali,  di disprezzo, inosservanza e violazione dei diritti delle altre persone, con comportamenti di ostilità e aggressioni fisiche.

Un bravo genitore dovrebbe invece insegnare al figlio l’importanza di un fallimento, fallire è un momento di crescita, un’opportunità per conoscersi, per evidenziare i propri limiti ed i propri punti di forza.

Un genitore che non riesce a fare questo, ha già fallito.

E’ lui stesso il prototipo del fallimento.

Maria Tinto (Psicologa e Psicoterapeuta Breve Strategico – Autrice del libro :”I Bambini non nascono cattivi – Vincitore del Premio Letterario Nazionale “Autori Italiani 2017”)

Ricordiamo l’accaduto:

L’assurda vicenda è accaduta ieri pomeriggio a Roma, all’Istituto tecnico industriale Di Vittorio Lattanzio, in via Teano, sulla Prenestina, nel corso degli scrutini aggiuntivi.

La scuola aveva convocato i genitori dello studente, iscritto al primo anno, per dare loro la brutta notizia. Ma i due non l’hanno presa per niente bene e hanno aggredito uno degli insegnanti, l’assistente tecnico del laboratorio di disegno, procurandogli un trauma cranico, trauma alla schiena e un principio di soffocamento.

I genitori non avevano voluto credere ai voti mostrati dal registro elettronico, che decretava la bocciatura del pargolo. Arrabbiatissimi per la “sentenza”, i due hanno dapprima rivolto pesanti insulti a tutti gli insegnanti presenti, compreso il preside, poi se la sono presa con il giovane assistente, intervenuto per evitare che il preside venisse picchiato.

Il 23enne è crollato sotto i colpi, ma anche allora il padre ha continuato, fino a quando non gli ha stretto le mani al collo, nonostante il tentativo dei presenti di farlo smettere.

Il giovanissimo professore è stato soccorso e portato in ospedale, dove è stato ricoverato in osservazione.

Marina Cozzo

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