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Superbonus, cosa rischia chi ha lavori in corso?

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Il decreto legge che ha bloccato le cessioni del credito relative ad agevolazioni fiscali, con la pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale è operativo dal 17 febbraio 2023 (guarda qui il decreto). Il primo dato che emerge dalla lettura è che non sarà possibile dare vita a operazioni di cessioni del credito e sconti in fattura per attività non ancora avviate.

I rischi sui lavori di Superbonus

Per limitarci al Superbonus, agevolazione sulla quale lo stop ha sicuramente il maggiore impatto, un condominio o un proprietario di casa indipendente (ammesso che si tratti di prima casa e che il contribuente abbia i requisiti reddituali per chiedere l’agevolazione) che non abbiano ancora depositato la Cilas dovranno obbligatoriamente chiedere le detrazioni sul 730 e sul modello PF. Al contrario chi ha già iniziato i lavori pagando alcune fatture e a maggior ragione chi ha già effettuato almeno una cessione a Sal (stato avanzamento lavori: è possibile cedere al completamento del 30 e del 60% delle opere) avrà ancora diritto a effettuare le cessioni. 

Lo stesso vale anche per chi non ha ancora iniziato i lavori ma ha depositato la Cilas prima della data di entrata in vigore del decreto; anche se passando dalla forma alla sostanza, il fatto di aver diritto alla cessione non garantisce automaticamente che si troverà una banca disposta a ritirare il credito. C’è un altro passaggio dalla forma alla sostanza che vale la pena di illustrare. Formalmente regole e tempistica del Superbonus non vengono toccate dal decreto; nei fatti bloccare le cessioni significa condannare a morte prematura l’agevolazione. Il problema è che i lavori costano molto: anche stando su stime prudenziali si possono calcolare 50 mila euro per ogni unità immobiliare in condominio.

Per affrontare questa spesa in proprio il contribuente dovrebbe o anticipare la somma o fare un mutuo ai tassi non particolarmente convenienti di questa fase economica e poi deve disporre di un reddito imponibile in grado di assorbire tutta intera la detrazione, pari 11.250 calcolando il bonus al 90%, cioè all’aliquota valida per il 2023 per chi non abbia ancora depositato la Cilas.

Ci sono agevolazioni per le persone ricche?

Un’accusa spesso fatta al Superbonus è quella di essere un’agevolazione per ricchi. Se lo era con la cessione del credito, senza cessione lo diventa molto di più. Sopra abbiamo fatto un esempio relativo a un condominio perché per le case indipendenti, che possono godere del superbonus al 90% solo se si tratta di prima casa e se il quoziente familiare è di 15 mila euro all’anno, la possibilità di poter sfruttare le detrazioni in proprio è del tutto irrealistica.

Come cambiano le scadenze del Superbonus

No, restano invariati i termini e le aliquote. Per quanto riguarda i condomini: se la delibera assembleare è stata assunta entro il 24 novembre e la Cilas presentata entro il 25 novembre 2022, oppure se la Cilas è stata presentata dopo il 25 novembre ma entro il 31 dicembre e la delibera assembleare non è posteriore al 18 novembre, si ha diritto al 110%, altrimenti si scende per il 2023 al 90%. Per le case indipendenti, se i lavori erano in corso al 30 settembre 2022 erano stati compiuti almeno per il 30%, si ha diritto al 110% ma solo per le opere ultimate entro il 31 marzo 2023.

Negli altri casi le abitazioni indipendenti sono agevolate al 90% per il 2023, purché si tratti di prima casa e il quoziente familiare sia inferiore a 15 mila euro. Per le case plurifamiliari con proprietà unica il termine ultimo per la Cilas per ottenere il 110% era il 25 novembre 2022. Per tutti il superbonus scende al 70% nel 2024 e al 65% nel 2025. Un vero e proprio rompicapo.

La decisione dello stop della cessione del credito

La ratio del provvedimento è quella di limitare l’emorragia di fondi pubblici. A fine gennaio risultavano maturati 54,7 miliardi di detrazioni per lavori che un volta conclusi ne costeranno all’Erario 71,7. Il ministro Giorgetti ha parlato di debito a carico di ogni italiano per 2.000 euro, dal che si deduce che il Mef ha stimato che senza correzioni la spesa totale avrebbe toccato i 120 miliardi.

Va però detto per amore di verità che anche senza dar credito ad analisi, inficiate da conflitto di interessi, che valutano il bilancio del superbonus addirittura positivo per le casse pubbliche, i soldi spesi per la maxi-agevolazione escono dalle casse dello Stato (o, meglio, costituiscono mancate entrate per le casse dello Stato) per un periodo di cinque anni (l’anno in cui sono effettuate le spese agevolabili più i quattro successivi) mentre l’Erario incassa l’Iva e l’Irpef di chi è coinvolto nei lavori e risparmia sulla cassa integrazione di chi invece perderebbe il lavoro. Se il blocco dovesse avere gli effetti paventati dai costruttori, che parlano di 25 mila imprese a rischio, i conti sulla maggior spesa per sostenere i lavoratori bisognerà farli presto. E anche all’interno della maggioranza di governo non mancano perplessità sul decreto.

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