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Omicidio di Rosario Berardi, il maresciallo assassinato dalle Brigate Rosse

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L’omicidio risale al 10 marzo del 1978 quando il maresciallo di Pubblica Sicurezza, Rosario Berardi, fu ucciso da un gruppo armato alla fermata del tram, in largo Belgio, a Torino. 

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Omicidio Rosario Berardi – Ilcorrieredellacittà.com Foto da Wikipedia

 

L’assassinio avvenne alla vigilia della nuova udienza del processo in corso a Torino contro il cosiddetto “nucleo storico” delle Brigate Rosse. Grazie alla testimonianza di uno dei componenti del gruppo armato, gli inquirenti riuscirono a risalire alle identità dei killer, assicurandoli alla giustizia. 

L’omicidio del maresciallo Rosario Berardi

Sono le 7.45 del 10 marzo 1978 quando il maresciallo Rosario Berardi, 41 anni, esce dalla sua abitazione in via Manin per recarsi a piedi – come ogni giorno – verso largo Belgio, alla fermata del tram 7, che lo avrebbe portato al commissariato di Porta Palazzo a Torino, dove lavora.

La zona è trafficata e piena di pendolari in attesa dei mezzi pubblici. Improvvisamente, da una Fiat 128 con a bordo quattro persone, tra cui una donna, scendono tre uomini e si avvicinano al maresciallo Berardi.

Due di loro iniziano a sparare a raffica diversi colpi di pistola. Tre proiettili raggiungono il maresciallo alla schiena, altri quattro vengono esplosi quando il militare è già a terra. Il maresciallo tenta, istintivamente, di proteggersi, coprendosi il volto con le mani, ma i killer lo colpiscono ancora alla testa e alle braccia. Uno degli assalitori raccoglie il borsello del militare, in cui il maresciallo custodiva la sua pistola d’ordinanza e alcuni documenti, e i tre risalgono in auto, dandosi poi alla fuga.

Sul posto arriva un’ambulanza, che trasporta il maresciallo Rosario Berardi all’ospedale Molinette di Torino, dove i medici non possono fare altro che constatarne il decesso. Sul luogo dell’omicidio arrivano carabinieri e scientifica, che transennano la zona e provvedono a effettuare i rilievi. Alle 8:35 arriva una telefonata anonima all’ANSA, che rivendica l’omicidio di Berardi a nome delle Brigate Rosse, minacciando al contempo nuove azioni in caso di prosecuzione del processo al gruppo armato.  

Il processo e le condanne

Le indagini sull’omicidio del maresciallo Berardi appaiono tutt’altro che semplici. Il giorno seguente al delitto vengono fatti i primi quattro nomi dei presunti killer, ma si tratta di rivelazioni completamente errate, visto che i quattro non si trovavano neppure a Torino la mattina del 10 marzo. 

Il 19 febbraio vengono arrestati due brigatisti dai carabinieri del generale Carlo Alberto dalla Chiesa. Si tratta di Rocco Micaletto e Patrizio Peci. Sarà proprio quest’ultimo a dare una svolta alle indagini, fornendo un ampio e dettagliato resoconto della dinamica dell’omicidio del maresciallo Berardi.

Peci ammette di aver partecipato personalmente all’agguato. Per quanto riguarda le motivazioni dell’azione omicida, il brigatista dichiara che il delitto è scaturito dalla volontà del gruppo armato di colpire qualcuno dell’antiterrorismo, in questo caso uno dei membri della DIGOS.

Soltanto in un secondo momento, dopo aver controllato il contenuto del borsello della vittima e aver constatato che la pistola non aveva neppure il colpo in canna, i militanti si convincono di aver colpito un personaggio ormai lontano dalla lotta al terrorismo. Peci viene però smentito da un altro componente della banda, Lauro Azzolini, che afferma che l’azione fu studiata nei minimi dettagli.

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Le condanne per l’omicidio Berardi – Ilcorrieredellacittà.com

 

Secondo Peci, sarebbe stata soprattutto Nadia Ponti a “insistere per continuare l’inchiesta e organizzare l’attentato, dicendosi sicura che Berardi fosse un grosso personaggio”. A sparare al maresciallo fu Cristoforo Piancone. L’altro membro del gruppo armato era Vincenzo Acella. 

Il maresciallo Rosario Berardi fu pedinato e seguito per diversi mesi prima di cadere sotto i colpi degli attentatori. Visto il luogo scelto per colpire il militare, l’azione fu affidata a un gruppo esperto, che avrebbe saputo affrontare eventuali “sorprese”. 

Tranne Patrizio Peci, che ha beneficiato dei vantaggi riservati ai collaboratori di giustizia, gli altri tre componenti del gruppo sono stati tutti condannati alla pena dell’ergastolo.

 

 

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