Home » Inchieste e Approfondimenti » “Per Marta Russo non è stata fatta Giustizia”

“Per Marta Russo non è stata fatta Giustizia”

Pubblicato il

Sono sicurissima. Io nell’aula 6 non c’ero“.
Questo aveva sostenuto per 34 giorni la testimone chiave di quell’omicidio. L’omicidio di Marta Russo, la giovanissima studentessa della Sapienza che il 9 maggio del 1997 era stata ferita a morte da un maledetto proiettile sparato per gioco o chissà per quale motivo da chissà chi. “Non c’ero in quell’aula” diceva Gabriella Alletto. Difendendo questa sua affermazione con coraggio e decisione anche difronte alla minaccia di arresto. E già perchè qualcuno l’aveva collocata dopo mille sbiaditi ricordi in quell’aula, l’aula della sala assistenti di Filosofia del Diritto. E dal davanzale di quell’aula, era stata estrapolata una minuscola particella di Bario e Antimonio, che un perito incaricato dal PM Carlo Lasperanza, il dottor Giacomo Falso , aveva dichiarato esser “residuo di sparo“. 

La storia del Mistero della Sapienza ruoterà tutta attorno a questa testimonianza. E alla negazione di essa, con una dichiarazione della stessa Alletto dopo 34 giorni. Una dichiarazione che stravolgerà le precendenti e porterà in carcere per qualche anno, ma al pubblico disprezzo per tutta la vita, due giovani assistenti: Salvatore Ferraro e Giovanni Scattone, che diventeranno una specie di mostro a due teste. Mostri perchè assassini di Marta. Mostri per sempre. Ma è stata fatta davvero giustizia? Davvero Giovanni ha sparato da quell’aula e Ferraro lo ha assistito e coperto? 

Del destino tragico di quella meravigliosa ragazza che era e che sarebbe stata Marta si è tornati a parlare da qualche mese, dopo una serie podcast dal titolo: “POLVERE” di Chiara Lalli e Cecilia Sala ( Qui le 8 puntate ) che non solo ripercorre la storia di quello che fu il più grande processo mediatico della nostra storia repubblicana, ma apre all’ascolto di alcuni protagonisti, tra inquirenti pieni di certezze e testimoni (uno anche misterioso) che sicuri sono anche essi. Sicuri che non può esser andata così.

Chi vi scrive ha pubblicato tre anni fa un libro su questa orribile pagina nazionale, su questa storia che lo stesso direttore dell’Huffington Post ha definito “Una storia (troppo) italiana” 

Marta Russo – Il mistero della Sapienza (Armando Editore)

Un libro che ho pubblicato con Armando Editore ( clicca per l’estratto ) in cui ho cercato e mai trovato non dico una possibile prova, ma anche solo un minuscolo indizio che mi portasse a credere che davvero qualcuno (Scattone) avesse sparato da quella finestra di quell’aula. Un libro che è diventata una piece teatrale di successo con numerose repliche nei teatri italiani finchè il Covid ce lo ha permesso. Un libro in cui ho raccontato, cercato, ho scritto e ascoltato, ho studiato per un anno così come hanno fatto le due bravissime colleghe Lalli e Sala. E come loro, ho trovato solo elementi che dicono il contrario. Che portano convergenti a dedurre che NO, da quella finestra e in quelle modalità non può essersi sparato.

Quello che più colpisce in questi audio e in queste interviste che nel podcast sono molto curate, è proprio la fragilità delle accuse, l’arroganza sfacciata di chi cerca prove e la paura nera di chi è nel mirino dell’accusa. Tutti testimoni che, senza la minaccia e spesso la messa in atto di procedimenti di incriminazione per falsa testimonianza ad ogni dichiarazione fuori dal contesto accusatorio,  avrebbero sicuramente potuto ricostruire una storia diversa e non condannare a quella sentenza due giovani di belle speranze. Forse innocenti, sicuramente non collocabili in quell’aula quel giorno e a quell’ora.

Non può essere andata così

Scattone e Ferraro

Eh sì perchè: 1) quella particella di Bario e Antimonio si scoprirà in corso di processo non essere residuo di sparo. 2) Perchè la testimone principale, Gabriella Alletto, inserita in quell’aula dai ricordi di un’altra assistente collega di Scattone: Maria Chiara Lipari, era stata molto più credibile nel raccontare i movimenti di quella mattina prima (quando asseriva di non aver visto nessuno) che dopo (tanto da doversi veder costretta a verbalizzare continuamente correzioni alla sua versione). 3) Perchè la stessa Maria Chiara Lipari, dirà che: “Mi sono sforzata al di là di quello che ho visto” e che questo sforzo parte da un errore: un tabulato sbagliato del telefono di quell’aula 6, da dove Lipari ha telefonato quella mattina, ma che ha degli orari sbagliati. 4) Perchè Lipari nel suo percorso di memoria inserisce tra i suoi ricordi prima un altro collega, tale Mancini, che si salva solo perchè ha un alibi di ferro, e poi solo dopo giorni Ferraro, che l’alibi lo ha ma non troppo granitico e poi dopo mesi e mesi di “sforzo della memoria” troverà in essa anche la figura di Scattone.  5) Perchè il testimone che avrebbe potuto salvare Scattone, il professor Lecaldane, dirà che ha bruciato l’agenda su cui avrebbe potuto aver annotato l’appuntamento con l’imputato quel 9 maggio. 6) Perchè i dipendenti della società di pulizie e molti altri loschi figuri che ruotavano attorno alla Facoltà erano facili a l’uso delle armi e anche e soprattutto negli edifici dell’Università.
E potrei continuare per ore con la lista dei perchè, lista che nel mio libro e nel podcast di Huffington sono elencati in maniera doviziosa e drammaticamente chiara, da lasciarmi e lasciare sgomenti. 

Una revisione sarebbe possibile? Credo di sì, perché certamente una analisi semplicemente rileggendo come ho fatto io e le colleghe Lalli e Sala, sposterebbe quella pistola da quell’aula 6 ad altro luogo, forse proprio quel bagno di Statistica del piano terra, indicata dal perito della Corte (quindi non di parte) il professor Torre, come luogo assai probabile. Luogo dove quella mattina per esempio, faceva le pulizie un personaggio che due anni dopo sarà tra i protagonisti dell’omicidio di Massimo D’Antona, il professore della Sapienza ucciso dalla BR. E che quella perizia di Giacomo Falso, fatta in assoluta buona fede, era però “Falsa” proprio nell’assunto principale. 

Un pressappochismo insulso da parte di tutti, oppure una volontà, neanche tanto celata dai protagonisti, di trovare un colpevole per quella che era diventata una falla enorme della Procura di Roma? Già di quel tempo, di un delitto che bisognava risolvere in tempi brevi per forza, tanto era diventata forte la pressione politica fin ai massimi livelli. 
Perchè se non si è sparato da lì, allora non può aver sparato Scattone. E Ferraro non può esser incolpato di alcunchè. 

Lo scriveva il compianto amico e grande giornalista Sandro Provvisionato nella prefazione del mio libro. Scriveva quella che qualche anno fa era stata una sua intuizione e che ormai è diventata certezza per quello che abbiamo letto nelle carte processuali e confermato dal bellissimo lavoro di Lalli e Sala: “Per Marta Russo non è stata fatta Giustizia“.

Mauro Valentini

( https://maurovalentini.it/ )

 

Impostazioni privacy