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Lei lo umilia per anni, lui si uccide. Ma la versione del suicidio di Vincenzo Cancemi non convince

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Vincenzo Cancemi

Un uomo onesto, un uomo probo, si innamorò perdutamente, d’una che non lo amava niente”, cantava Fabrizio De André, raccontando cronache vere e immaginarie. E questa storia somiglia moltissimo a quella Ballata dell’Amore Cieco, caratterizzata da un testo tristissimo e crudo, accompagnato da una musica allegra, e che qualcuno ha ribattezzato come ‘canzone sulfurea’.

Sulfurea è anche la storia di Vincenzo Cancemi, deceduto nelle campagne attorno a Pachino il 28 aprile del 2022 in circostanze che la Procura di Siracusa non ha voluto indagare. O, perlomeno, accertare completamente in modo da fugare ogni ragionevole dubbio: per i magistrati si tratterebbe pacificamente di un suicidio. Infatti per la morte del quarantenne siciliano non si sono cercati colpevoli. L’indagine contro ignoti si è conclusa con una richiesta di archiviazione da parte del Sostituto Procuratore Salvatore Grillo.

L’ipotesi dell’istigazione

Una richiesta di archiviazione a cui la famiglia Cancemi si sta opponendo con tutte le forze perché, come è emerso dalle indagini e dalla recente inchiesta giornalistica della trasmissione Le Iene, ci sarebbe più di un sospetto in ordine a una sorta di istigazione da parte dell’ex compagna di Vincenzo.  La donna, molto popolare nel territorio pachinese come artista, stilista e consigliera comunale (prima in quota Fratelli d’Italia e poi indipendente) nel corso della relazione decennale con l’elettrotecnico assumeva delle vere e proprie condotte sadiche: “Pezzente, fai schifo, non hai fatto niente di grande per me”. Sono decine e decine gli elementi di prova di questo tenore trovati nella memoria del telefono di Vincenzo, come le richieste di autoumiliazione e autoflagellazione: “Mettiti in ginocchio in mezzo al porto”. “Devi strisciare nudo”. “Bruciati i piedi, fai il video e mandamelo”. E lui di fatto si sottometteva a quelle che per la donna erano delle dovute “prove d’amore” nei suoi confronti. Ancora: “Devi bruciare la casa di tuo padre”, un padre con cui Vincenzo non doveva in alcun modo comunicare, perché la consigliera comunale glielo proibiva. Infatti è emerso che Cancemi, con la famiglia, parlava di nascosto.

Ti dimostro che morirei per te, anche se non mi credi”, così la Procura vuole archiviare il caso

Poi quella, forse rivelatrice, affermazione: “Vincé, meriti la fine che farai!”. Fino all’ultimo drammatico documento, un video in cui appare Vincenzo con un cappio al collo mentre si rivolge alla donna: “Ti dimostro che morirei per te. Poi la morte. Ed è soprattutto in ordine a questo video che per la Procura si tratterebbe di suicidio. Non ci sarebbero ragioni per esplorare ipotesi alternative, come quella dell’istigazione o, addirittura, quella dell’omicidio. “È risultato del tutto ultroneo e superfluo eseguire l’esame autoptico sulla salma, a gran voce richiesto dalla famiglia Cancemi”, scrive la Procura. Sono però numerosi gli elementi che pongono più di un interrogativo rispetto allo svolgimento delle indagini, infatti non è stata disposta la perizia tecnica sul video, né soprattutto l’autopsia sul cadavere. Ma il telefonino di Vincenzo, prima di essere consegnato ai Carabinieri, è sparito per ore e il corpo presentava un enorme taglio sulla fronte, il setto nasale rotto e una serie di ferite quantomeno strane se non addirittura apparentemente incompatibili con la tesi suicidiaria.

Necessaria prosecuzione indagini e autopsia”: l’ombra della polizza sulla vita

Queste criticità sono condivise, oltre che dall’avvocato della famiglia Nunzia Barzan, anche dal criminalista Alessio Poggi che, raggiunto da noi, ha sottolineato che: “Intanto bisognerebbe verificare la fonte del video, perché potrebbe essere stato fatto da altro dispositivo. In ogni caso l’esistenza di tale documento non è sufficiente a disporre la chiusura delle indagini in quanto, dagli atti emersi dal fascicolo, ci sono vari elementi discordanti. Dalla stessa relazione del C.T., prof. Pomara”, continua il professionista, “emerge che la morte è sopraggiunta tramite un’asfissia meccanica violenta da impiccamento mediante legatura e non mediante sospensione”. Poggi poi aggiunge: “Nessuno ha visto il cadavere penzoloni, tranne l’ex compagna, la quale poi ha ammesso di aver tagliato la cinghia con delle forbici. Inoltre le varie ferite ritrovate sul corpo di Cancemi da chi o da cosa sono state causate? Sono questi gli elementi che rendono necessaria la prosecuzione delle indagini con l’espletamento dell’autopsia in modo da accertare le vere cause della morte”, ha poi concluso. Dello stesso avviso l’avvocato Barzan che ha depositato nelle scorse settimane l’opposizione alla richiesta di archiviazione del caso. Il gip siracusano, Andrea Migneco, si è riservato rispetto a questa decisione e apprenderemo a breve ulteriori risvolti. Ma non è tutto, perché, secondo un documento in nostro possesso, risulta ancora in essere una polizza sulla vita di Vincenzo stipulata presso Poste Italiane la cui beneficiaria, fino al 2016, era la madre Fortunata. Successivamente Vincenzo avrebbe inserito proprio l’ex compagna, estromettendo la madre, come beneficiario della prestazione.

Il profilo dell’ex compagna

Dopo essere stata raggiunta da Antonino Monteleone de Le Iene, la signora in questione ha infangato la memoria del ragazzo e la sua famiglia: “Ci sono precedenti di suicidio tra quella gente”, ha detto in riferimento ai Cancemi. “E poi nemmeno si lavano”. Ancora: “Ci sono trans e lesbiche in quella famiglia, infatti si parla che la madre è lesbica”, come se la cosa eventualmente azzerasse la dignità di una persona. Poi altre gravissime accuse nei confronti di Pippo Cancemi, il papà di Vincenzo, che avrebbe, secondo la donna, architettato una violenza sessuale nei suoi confronti in collaborazione con “un noto politico locale”. Di questo non abbiamo però alcuna prova. Prove che però esistono in ordine alle vessazioni perpetrate dalla consigliera comunale nei confronti di Vincenzo: “Di 150 messaggi al giorno ricevuti da mio fratello dalla compagna, 140 erano di questo tenore: “Fai schifo, miserabile pezzente, devi uccidere tuo padre”, ci dice Giusi, una delle due sorelle di Vincenzo che, insieme a Francesca, più di tutti sta lottando per far riaprire il caso.

Chiediamo a gran voce l’autopsia”. Il 15 marzo corteo dei pachinesi per Vincenzo

 “I vestiti di nostro fratello presentavano una quantità enorme di materiale ematico. Chiediamo a gran voce l’autopsia che potrebbe darci delle certezze scientifiche riguardo il decesso di Vincenzo”, ci dicono le due donne, aggiungendo che: “Vogliamo che vengano effettuate delle indagini approfondite alla luce di tutte le prove che nostro fratello ci ha lasciato e che raccontano di dieci anni di umiliazioni, vessazioni, minacce di morte e richieste di prove punitive che la compagna gli chiedeva di compiere, oltre a quelle di uccidere i nostri genitori come prova di “qualcosa di grande”. Questo il testamento che Vincenzo ci ha lasciato nelle schede di memoria che nascondeva perché sapeva che gli sarebbe successo qualcosa. Confidiamo nelle istituzioni e attendiamo la decisione del Gip”. Nel frattempo i cittadini di Pachino hanno organizzato una ‘Marcia per la Legalità’ il giorno 15 marzo presso la cittadina.

Alcuni testimoni ci hanno infine riferito che “C’era un sorriso sul volto di Vincenzo quando lo abbiamo trovato morto”. Come fosse “Morto contento”, citando Faber. E chissà se lei, in un attimo di repentina lucidità, “Fu presa da sgomento”.

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