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I giovani di oggi e la “cultura della distrazione”, ce ne parla la psicologa Maria Tinto

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I ragazzi di oggi sono ignoranti anche per via dei social!
Questa è la denuncia scattata qualche giorno fa dal una trasmissione televisiva dove si affrontava il rapporto dei ragazzi con i social e, quindi i cellulari.
I risultati portati da taluni docenti scolastici sono allarmanti e sconfortanti: temi in classe sconclusionati; capacità di apprendimento azzerata, memoria solo quella breve.
Abbiamo chiesto lumi all’esperta Maria Tinto, psicologa, psicoterapeuta e comportamentalista, che collabora con la testata con le sue analisi approfondite:

 

“Fragili, distratti, ignoranti, bamboccioni, inoccupabili, sfigati, choosy, sono loro, la Generazione Y, Millennial Generation, quelli nati tra gli anni 80 e il 2000 e questi sono solo alcuni degli appellativi che, nel corso degli ultimi anni, si sono susseguiti a definirli.
Ritenuti di non possedere le conoscenze sufficienti né per avere una vita sociale soddisfacente, né per entrare nel mondo del lavoro.
Come a dire, idioti, incapaci funzionali, inadatti ad assolvere un compito complesso, incapaci di capire e di fare il riassunto di quanto letto, quando leggono.
Insomma un esercito di incompiuti col punto interrogativo.
Ma cosa è successo ai nostri ragazzi?

Possibile che li abbiamo talmente abbrutiti da non riuscire più a cavarli dal pozzo nero della somma incapacità.

Come è possibile che con le tecnologie avanzate disponibili, con gli strumenti della cultura digitale, abbiamo creato incultura generazionale.

Dove nasce questo paradosso in cui sta pascolando questo annoiato, impaziente e insoddisfatto gregge.

Dove nasce questa deriva di abominevole riluttanza verso ogni forma di attivazione del pensiero, questa digito frenesia compulsionale in cui gettano le ore del giorno e della notte.

Dove hanno imparato a comunicare con le “faccine”, con gli acronimi, senza peraltro neanche sapere che si chiamano così.

Disusa la parola, se non per urlare rabbia, unico modo per esprimere l’incapacità di riferire il loro malessere e di farsi comprendere.

Ma soprattutto, chi ha insegnato ai nostri ragazzi che il valore di un essere umano dipende dai risultati che ottiene.

Perché con tale consapevolezza, l’unica che hanno, ovvero quella di non arrivare mai ad un risultato compiuto, neanche ci provano, credendosi degni incapaci.

Le tecnologie digitali, che dovrebbero essere un ausilio alla possibilità di informazione, di formazione culturale e di crescita personale, sono diventate un ennesimo strumento di distruzione di massa.

E’ tutta colpa di internet?

E’ tutta colpa delle risposte immediate che fornisce la rete, senza dare la capacità di dubitare di quanto attesta?

E’ pur vero che l’uso illimitato degli smartphone non attiva alcuna capacità di riflessione, l’iperattivazione cerebrale stimola l’attività delle cellule, ma senza alcuna finalità logica di pensiero.

Si dice che i nostri ragazzi non credono nel futuro.

Ma perché non credono nel futuro?

Perché il futuro non esiste.

Lo sanno bene, in fondo il presente è semplice, a portata di mano, c’è una soluzione per ogni difficoltà.

Da bambini non si sono mai sbucciate le ginocchia, perché quando cadevano c’era il cuscinetto ammortizzatore, apposto all’occorrenza da mamma e papà.

Non hanno imparato a cadere.

Non sanno quali strategie usare per non farsi male.

A casa stanno bene, sono coccolati, venerati, indisturbati, chiusi nella loro stanza e se provi ad entrare ti urlano contro, perché stanno guardando la loro serie televisiva preferita o stanno giocando con il loro corrispettivo idiota dall’altra parte del mondo, ma sono tutti abbondantemente nutriti e soprattutto, giustificati.

Vivono puntandosi addosso una telecamera, in attesa di un gratificante like, che se non arriva, è capace di distruggere l’immagine deformata che hanno di se stessi.

Non hanno più bisogno di nessuna “giustifica”, nè da portare a scuola, se non hanno studiato, né se passano anni a pascolare all’Università.”

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