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“Aprilia: Disiecta Membra – Frammenti sparsi”. Lettera aperta sulla cultura apriliana a cura di Giovanni Papi

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Di solito quando ci si accinge a scrivere su un argomento per quanto possibile ci si informa, ci si documenta, ci si aggiorna su quel tema. Quando intrapresi l’idea alla fine degli anni novanta di scrivere e coordinare una monografia sulla città di Aprilia, nel corso del tempo mi resi conto della mole di lavoro e di quanti frammenti e vuoti di memoria bisognava ricomporre: fisici e mentali, nella storia, nella città, nella cultura. Una fra le tante tessere recuperate, cancellata completamente e ne parlai già alla fine degli anni ’80, fu quella della Sala Podestarile apriliana ideata e progettata da Enrico Prampolini, artista appartenente già allo stato maggiore Futurista e insieme a Marinetti sarà il riferimento anche per il “secondo futurismo”. Ricordo ancora i racconti di Piero Dorazio quando parlava del suo amico Enrico “costretto a metà degli anni cinquanta, con la sua cinquecento a lasciare periodicamente Roma per raggiungere, pendolare in esilio, l’accademia di Brera. Viaggi estenuanti e punitivi per un uomo di sessant’anni, colpevole di essere sopravvissuto a se stesso e al mito che rappresentava”. Prampolini nel 1936 alla VI Triennale di Milano, oltre a curare la sezione internazionale della mostra di scenotecnica (dove vennero esposte anche opere di Picasso, De Chirico, Gris, Djagilev, Leger…) realizzò l’ambientazione della “Sala podestarile del palazzo comunale di Aprilia” insieme ad altri futuristi. L’apparato decorativo della sala e dei suoi artisti fu studiato da chi scrive e dal sapiente Carlo Fabrizio Carli (APRILIA CITTA’ DELLA TERRA, ottobre 2005) con l’attribuzione anche delle singole opere, nei singoli ambiti: Alfredo Gauro Ambrosi, Cesare Andreoni, Gerardo Dottori, Renato Di Bosso, Mino Rosso e lo stesso Prampolini. Così come furono esaminate le altre opere urbane: Federigo Papi, Alessandro Coccia (l’arengario della torre e la pittura murale ad encausto sul cinematografo) lo stesso Crocetti e infine il corredo sacro. Quando mi accinsi a redigere il breve saggio su Alessandro Monteleone, autore delle “14 formelle in terracotta della via Crucis per la Chiesa Parrocchiale” ebbi qualche perplessità sulla vulgata locale che gli attribuiva da sempre anche il battistero. Gli archivi che interrogai non risposero. Dal colloquio con Maria Merita, figlia di Monteleone, sostanzialmente non emerse nulla di nuovo. All’incontro portai con me alcune foto che avevo fatto al fonte, usato nel frattempo come altare, ed in particolare portai una fotografia che mi aveva dato Stanislao Nievo (donatami insieme ad altre preziose immagini della sua famiglia che lo raffigurava bambino proprio sopra il fonte battesimale vicino al fratello Ippolito, al loro rientro nel comune distrutto dalla guerra, giugno ’44) Nell’immagine di prospetto il fonte, semisommerso dalle macerie, veniva fuori, slabbrata ma ben leggibile, l’elegante scritta a rilievo: “EGO TE BAPTIZO IN NOMINE PATRIS ET…” nella sua completa formula di rito e sulla destra appariva un leone alato scolpito. Maria Merita visionando quella foto e quelle recenti dimostrava perplessità, anche se era possibilista. Ma le cose non quadravano: il carattere di Monteleone nei suoi tanti lavori manteneva uno stile austero e sofferto mentre la mano del fonte era sinuosa e morbida e poi vigeva la buona regola di diversificare sempre gli incarichi. Allora non mi pronunciai. E come sa bene chi si occupa di ricerca, spesso, quando si vuole trovare fortemente una cosa l’oggetto del desiderio sfugge. Così mentre la mia pubblicazione andava in stampa, con il contributo di eccellenti studiosi, il “battistero artistico in travertino con soprastante statuette di bronzo e coperchi di rame, ornato dai simboli dei quattro evangelisti” rimaneva ancora in cerca d’autore. Ma non per molto. Finalmente dall’archivio di stato di Roma venne fuori un documento originale che attestava definitivamente e inequivocabilmente l’attribuzione: si trattava di un bel bozzetto stilizzato e quotato, di prospetto e di fianco con la dicitura in alto: CHIESA DI APRILIA–FONTE BATTESIMALE e con la firma in basso a destra: SCULTORE A. VECCHI. L’arcano si era sciolto. La morbidezza del disegno corrispondeva a quella del modellato in marmo. Ora bisognava assicurarne la diffusione che avvenne alcuni mesi dopo la monografia apriliana. Così l’immagine del bozzetto venne inserita nel successivo quaderno dell’ Archivio Centrale dello Stato del 2006 dal titolo: “Città Metafisiche” con documenti d’archivio e fotografie di Donata Pizzi: quest’ultima già presente nella mia edizione in “visioni contemporanee”. Il titolo del quaderno era in linea e seguiva quello più noto del volume di “Metafisica Costruita” del 2002, al quale partecipai. Va considerato che i personaggi della Regione Lazio, presenti in queste pubblicazioni, erano gli stessi che avevano seguito anche la ricerca e il volume apriliano. Dello scultore Amedeo Vecchi della cerchia del Petrucci ne parlai negli anni a venire in più occasioni: anche in trasmissioni televisive locali, realizzando anche un video sul fonte stesso. Dell’ autore accenno qui soltanto al suo mirabile intervento a Segezia, ultima città capolavoro del Petrucci del 1940 – interamente sua – dove lo scultore romano incastona su tutta la facciata della chiesa delle formelle a rilievo di maiolica vietrese, contornate da altrettanti riquadri a cortina bianca. La punteggiatura delle formelle colorate, razionale ed espressiva, correndo lungo tutte le direzioni fa vibrare e “galleggiare” l’intera superficie lasciandoci un meraviglioso esempio di quando l’arte incontra l’architettura e lo spazio urbano. Soluzione da far invidia a qualsiasi “installazione scultorea” contemporanea.

Come è possibile che oggi a distanza di 12 anni (dicasi do-di-ci anni) dalla pubblicazione di quel documento nella nuova guida apriliana, di recentissima pubblicazione, non è stato possibile aggiornarlo? Come è possibile che, sempre nella stessa, non vengono nemmeno nominati tutti gli artisti storici della città, numerosi come una squadra di calcio: unicum nel territorio nazionale, tutti appartenenti alla storia dell’arte e con i quali si può attraversare tutto il Novecento e oltre? Come è possibile stampigliare, sempre nella “guida” una dicitura accanto a tutte le fotografie d’epoca pensando di farne un proprio “archivio” a cominciare dalla celebre immagine della piazza apriliana che conquistò la prima di copertina del catalogo di “Metafisica Costruita” e di proprietà dell’Archivio storico del Touring Club Italiano di Milano? Ma si sa cosa è un archivio? Come si fa ad affidare poi ad un film-maker una proiezione che annuncia uno studio sulla città e che invece si rivela un “video-gioco”, che al di là del valzer delle arcate dei primi fotogrammi, si mostra come un semplice esercizio di stile autoreferenziale? Come si fa a commissionare un cippo al duo Cottiga, (“in prossimità del punto della pietra di fondazione” ma che vuol dire?) posizionandolo davanti al sagrato, ma nessuno si è accorto che non è un’opera urbana? Quindi cosa ci sta a fare in piazza? E’ solo un greve equivoco che va rimosso e ricollocato in altra sede opportuna essendo un bozzetto. E poi che dire del “carciofo” piantato nell’ex parco dei Mille? Come si fa a chiamare dei “relatori” per parlare della nostra lunga, complessa e ricca storia in occasioni ufficiali quando questi ne conoscono si e no qualche piega e pure tangenziale? Come si fa a trattare la fontana originaria del mercatino delle erbe come una tazza del cesso nei disarticolati e maldestri tentativi dei vari rattoppi? La legislazione del bene pubblico prevede in questi casi una procedura che è quella di formulare un progetto di restauro sottoposto al nulla osta della Sovrintendenza di competenza, prassi nota anche ai nostri funzionari. Nell’ambito del progetto di valorizzazione dell’ex mercato delle erbe e dell’area antistante, (sostenuto dalla R.L. “Città di Fondazione-Luoghi del contemporaneo” con 445.000 euro, p.c.) va previsto necessariamente il restauro filologico della storica fontana: questa è – era – e sarà sempre il vero attrattore principale del luogo: qui Petrucci fece librare magistralmente la poesia dechirichiana. A dispetto dell’arch. Lazzari, al quale l’amministrazione stranamente ha affidato il progetto che non ci è dato conoscere. Ma come si fa ad affidare un incarico simile ad un professionista che ha sempre dichiarato la giustezza dell’annientamento dell’architettura del centro storico ed essendo quindi iscritto all’albo dei “demolitori”? E’ una contraddizione in termini con la stessa legge regionale visto che questa ne prevede e finanzia la sua “valorizzazione”. (Sicuramente il nuovo assessore all’urbanistica, al di là delle ottime intenzioni già dichiarate, farà le sue valutazioni sul centro storico e non si iscriva d’ufficio all’albo dei demolitori). E poi quei dipinti “abbandonati” sulle pareti della sala consiliare e quel cartello alla tirolese in piazza! Interrompo qui il tavolo degli orrori che si allunga sempre più e le cui prime immagini risalgono alle decisioni delle demolizioni dei palazzi storici: ’70 casa comunale, ‘72 casa del fascio – decisioni prese ancor prima dell’approvazione del P.R. G. avvenuta con delibera di G.R. il 10/10/73. Il prof. Lugli estensore di quel piano, al quale sono state sempre addossate e attribuite quelle responsabilità, ha sempre dichiarato di non aver mai previsto nessuna demolizione dei palazzi storici. Quelle scelte disgraziate spazzarono via in un sol colpo il disegno originario e la sofferta e commovente riedificazione post bellica dove la “Città di Fondazione” si trasformò in una “Città Sacrario”: rinata dalle macerie miste alle ceneri di 50.000 soldati.

Caro Sindaco Terra lei è di terza generazione e al suo secondo mandato, quindi non ha scusanti. La città necessita, fra le altre cose, di un Progetto Culturale che rilanci idee creative e proposte innovative a cominciare da una attenta valutazione del centro storico come già ampiamente ha dichiarato negli incontri preelettorali dove, in uno di questi, il prof. Ribichini saggiamente metteva in risalto a livello nazionale anche la fondamentale esperienza urbanistica e architettonica del concorso originario apriliano. Motore del progetto culturale è l’istituzione museale: dar corpo al MUSEO CIVICO, al BENE COMUNE (volontà già espressa e deliberata da altri amministratori e che la città attende da 35 anni. Meddi stesso riconfermò il tutto nel 2002 e da allora sono passati 16 anni) in un luogo adeguato e con un programma che riconfiguri in un quadro organico le numerose sezioni storiche che ci appartengono: antiche, moderne e contemporanee. Un vero e proprio organismo vivente e relazionale, laboratorio di incontri e collaborazioni di persone, discipline, conoscenze. Un luogo di sperimentazioni, in una logica di costante apertura, ricerca, sviluppo e partecipazione della città e del pubblico. Anima e Centro di raccolta e documentazione, di promozione e di studio dell’Identità, della Cultura, della Comunità e del Territorio. Relazione nuova e prolifica tra l’arte e la città. Polo delle memorie e del futuro. Siamo l’unica città italiana senza una raccolta civica. Occorre un gruppo di lavoro una task force dei beni culurali e del bene comune che rimetta insieme, ricomponga e raccolga in ogni dove le: Disiecta Membra Apriliane antiche e moderne sparse o disperse nel corso del tempo, scovando risorse economiche, sostegni e adesioni; studiando un programma ampio e rapportandosi con tutte le istituzioni necessarie pubbliche e private. A cominciare dai preziosi reperti archeologici che a seguito di un maldestro sequestro avvenuto alla scuola Pascoli più di otto anni fa, non sono più tornati a casa. Risistemando anche l’archivio comunale stesso dove sicuramente custodisce ancora tante sorprese. Coinvolgendo i tanti cittadini desiderosi di condividere frammenti di memorie e i tanti professionisti e studiosi disponibili alla partecipazione e le tante associazioni. E poi relazionandosi anche con le fondazioni, gli archivi, le biblioteche di tanti illustri personaggi che abbiamo avuto il privilegio di conoscere e frequentare nel corso del tempo e che a diverso titolo hanno dato lustro, spessore e visibilità alla città, alla sua cultura: penso a Stanislao Nievo, Renato Nicolini, Giorgio Muratore. E poi i vari musei: Manzù, Crocetti, Mastroianni e tante collezioni: Bonetti, Sibò etc. Ricordando altri personaggi eccellenti e i loro contributi che possono ancora arricchire come: Lorenzo Quilici, Flaminia Petrucci, Carlo Fabrizio Carli, Renato Mammucari, Daniela De Angelis, etc. Penso ai personaggi storici locali: da Menotti Garibaldi a quelli del periodo bellico e altri a seguire. Alle tante persone e personaggi locali giovani e meno giovani che ho frequentato nel corso di decenni, con i quali ho condiviso e condivido, in modi diversi, l’interesse per l’arte, l’architettura e la ricerca storica. Ricordo lo storico locale Bernardino Tofani che ci ha lasciato anzitempo e il suo importante archivio costretto all’esilio, costrizione che ancora grida vendetta: anche quell’ archivio deve rientrare. La sfida è grande e ardua ma ci si può ancora credere. In questa manciata di anni del suo nuovo governo (nel tempo in cui sono “evaporati i padri” e anche la “prima pietra è in evaporazione”) volontà e determinazione da parte sua e dei funzionari preposti possono cambiare il corso della storia documentale e culturale della città contribuendo alla formazione di una identità e anima comunitaria come lascito alle nuove generazioni. Lei sindaco Terra ha dalla sua l’eredità di Meddi e di D’Alessio, il nuovo mandato, maggior esperienza e quindi maggiori prospettive. Fra i tanti consensi anche l’importante petizione di quaranta personaggi locali che l’hanno sostenuta per il futuro della città. Un modo quindi per creare il futuro è costruire oggi. Purtroppo gli illustri studiosi che ho menzionato nella prima parte: Nievo, Nicolini, Muratore, ai quali eravamo molto legati, anche loro ci hanno lasciato anzitempo e a ben vedere, citando una nota battuta di W. Allen in un suo vecchio film: “Dio è morto, Marx pure e nemmeno io mi sento tanto bene”. NON OMNIS MORIAR

Giovanni Papi

 

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