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CYBERBULLISMO nel nostro territorio: il caso di Susanna

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Non è di certo un fenomeno di quelli che si vedono solo in tv o si leggono semplicemente sui giornali: il cyberbullismo, purtroppo, è molto più vicino a noi e ai nostri cari di quanto potremmo mai immaginare.

La dottoressa Sabrina Rodogno ne parla in questo articolo, raccontando la storia vera di una nostra concittadina.

La prima reazione

«Non pensavo potesse capitare proprio a me, non perché io ne sia immune, ma per l’età: ho 45 anni. E’ successo così velocemente che il mio corpo ha avvertito prima della mia testa, ricordo le scariche di diarrea, lo stomaco chiuso e per giorni non sono riuscita a mangiare nulla, sentivo un peso di ferro nella pancia, e poi il cuore mi batteva sempre forte. Solo dopo ho capito che non era influenza stagionale, ma l’ansia dell’attacco che stavo subendo senza poter fare niente per difendermi».

Susanna inizia cosi la sua lettera, ha usato un nome di fantasia per comunicare con me. Non so nulla, ma attraverso il suo racconto ho vissuto le sue sensazioni ed emozioni devastanti: Susanna è stata vittima di cyberbullismo.

Lei parte dai primi sintomi fisici: ansia generalizzata e stato d’allarme. Quando subiamo una violenza il nostro corpo reagisce mandando in attività tutti gli organi, con l’obiettivo di far fronte all’attacco. Susanna è pronta a reagire, ma non sa come: avverte inizialmente smarrimento.

 

La paura

«La violenza mi è arrivata da due persone completamente diverse tra loro. Entrambe volevano distruggermi utilizzando fatti privati per poi allargare le storie a situazioni inventate. Dalla prima me l’aspettavo, dall’altra no, in quanto amiche. Mi sono più volte ripetuta che la colpa fosse mia, utilizzo i social per lavoro e per questo mi sono esposta troppo. Ho dovuto chiudere la mia pagina facebook».

La prima reazione organica è l’allarme, quella emotiva è il senso di colpa, infine quella mentale è la chiusura dell’account. Esattamente come facciamo nella vita reale, se qualcuno ci minaccia corriamo ai ripari, sbarrando porte e finestre e ci portiamo dietro la colpa di aver provocato l’aggressore in qualche modo: senso di vulnerabilità.

 

La fragilità

«Per mesi ho avuto paura di aprire il computer, degli amici o parenti che potevano dirmi qualcosa che io avevo scelto di non voler sapere. Provavo vergogna al pensiero di poter aumentare l’odio immotivato e lo squallore con una mia risposta. La notte non dormivo bene, temevo potessero girare il mio nome o le mie foto in rete, mi sono sentita come se qualcuno mi avesse trascinata nuda in piena piazza».

I sintomi aumentano e Susanna non dorme più, la testa produce pensieri spaventosi, quasi ossessivi. Si sente disarmata, sceglie di non rispondere aumentando il senso di sconfitta. Prova vergogna e uno stato latente di fobia sociale.

 

La rabbia repressa

«In quel periodo ho litigato con tutti, mi innervosiva anche la pubblicità in tv. Non potermi sfogare in qualche modo, mi faceva impazzire: avevo le mani legate. Una donna adulta vittima di un paio di persone che nella vita non hanno mai realizzato nulla, senza arte nè parte, toccavano la mia autostima».

Susanna sente crescere la rabbia ma non riesce ad esprimerla funzionalmente: continue implosioni mantengono rigido il corpo, e come una pentola a pressione esplode anche per le più banali situazioni.

 

La risoluzione

«Cercando su google una possibile soluzione ho trovato un articolo sulla Boldrini relativo agli attacchi da lei ricevuti, e da questo una serie di collegamenti che mi hanno portata a conoscere la nuova normativa riguardo il cyberbullismo. Ho denunciato. Ora sto meglio, ma non ho dimenticato».

Susanna è riuscita a gestire le sue emozioni, perlopiù, reprimendole con una serie di alterazioni psicosomatiche successive. Una scelta forzata che però ha attivato la sua parte razionale, fino a condurla alla denuncia. Resta impresso il trauma che non ha evidentemente elaborato.

 

Normativa vigente

Facebook: l’offesa in bacheca è diffamazione aggravata.

La diffusione di un messaggio diffamatorio attraverso l’uso di una bacheca «facebook» integra un’ipotesi di diffamazione aggravata ai sensi dell’art. 595 c.3 c.p., poichè trattasi di condotta potenzialmente capace di raggiungere un numero indeterminato o comunque quantitativamente apprezzabile di persone.

 

Se volete raccontarmi le vostre storie per sciogliere insieme qualche nodo disfunzionale, scrivete all’indirizzo: psicologia@ilcorrieredellacitta.it

Vi aspetto.

Dott.ssa Sabrina Rodogno

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