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Roma, serata di festa con gli Arctic Monkeys

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Roma, Ippodromo delle Capannelle, 10 luglio 2013. I concerti degli Arctic Monkeys si snodano lungo i binari sicuri, ma anche ambiziosi, di una sintesi realmente complessiva di quanto dato alla luce finora. Il quartetto di Sheffield, che già da qualche tempo pare aver deciso di votare il proprio intento musicale alla commistione tra i luminosi e sghembi assalti ritmici degli esordi e una più recente vena intimista, sta così puntando sulla solida rotondità e completezza di un live sin qui riproposto con poche, episodiche variazioni.

Non si allontana da questo trend la data romana: introdotti da un side-buddy ispirato come Miles Kane (che si ripresenterà poi sul palco giusto in tempo per la conclusiva 505) e dalle spingarde caricate a piombo e Ramones dei gagliardi Vaccines, Alex Turner e soci danno vita ai centodieci minuti di festa leggera e stilosa, che finisce quasi per far passare in secondo piano la qualità dello show.

Uno spettacolo che in effetti centra con facilità l’obiettivo che si diceva: stappata la boccia con l’uno-due ben piazzato di Do I Wanna Know? (un nuovo singolo che desta una certa curiosità, con quel riffone lento, allucinato e quasi più statunitense che brit) e Brianstorm, quella che segue è infatti una selezione che pesca con salomonico equilibrio tanto dagli albori quanto dagli intermedi Humbug e Suck It And See. Il risultato? Uno show che sembra dire “sospensione”.

La ventina di brani proposti dai Monkeys è suonata col pilota automatico: tanto la scaltrezza felina delle ormai storiche Teddy Picker, Fake Tales Of San Francisco, I Bet You Look Good On The Dancefloor o Fluorescent Adolescent quanto le acidule derive di Pretty Visitors e Crying Lightning o le concessioni romantiche di Cornerstone o She’s Thunderstorms sono esattamente lì dove te le aspetti. Non un’oncia di cedimento, poche licenze (del feat di Miles Kane s’è detto, e gli si devono aggiungere i non esattamente memorabili format semiacustici della già citata Cornerstone o di Mardy Bum) e due sole vere novità (oltre alla curiosa Do I Wanna Know? fa la sua comparsa anche l’hype ossessionato di R U Mine?, singolo uscito nel 2012 prima in versione digitale e poi in vinile per il Record Store Day dello stesso anno).

Creazione dell’attesa mediatica per l’imminente e pur già giustamente atteso ritorno? Un po’ di stanchezza? Non è dato saperlo, anche perché Turner e compagni sembrano essersi lasciati alle spalle alcune turbolenze non poi tanto remote e tra un brano e l’altro si mostrano divertiti e palesano una complicità che appare serena e spontanea. Sta di fatto che se da un lato uno show degli Arctic Monkeys col pilota automatico ha il grande vantaggio di poter letteralmente garantire a chi vi assiste divertimento ed eccellente party music, dall’altro lascia una strana sensazione di incompiuto. Di inesploso, quasi. Come una creatività, quella dei quattro britannici, della quale speriamo davvero di non dover mai constatare affievolimento alcuno. AM saprà parlar chiaro in questo senso. Intanto, Roma ha saltato e sorriso per due ore: ce lo faremo bastare, nell’attesa.

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