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Fiumicino: tolleranza e rispetto alla base dell’integrazione

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Arathia è una vivace bimbetta di 3 anni arrivata a Fiumicino con la mamma lo scorso anno. Non parla. Né la sua lingua né tanto meno – ovvio – l’italiano.

Il padre ci dice che è bloccata, muta. La tentazione – per chi svolge mediazione linguistica e culturale da tanti anni – è grande, di cercare di  comprendere. Di aiutare.

Diventiamo amici. Frequentiamo la loro casa. Arathia ama giocare con la palla, anche in casa. E mentre la mamma è intenta a badare all’ultimo nato, la bimba comincia a giocare. A interagire, a parlare. 

“Palla”, “Mamma” “Papà”. E nel giro di un’ora ha già imparato il nome di tutti i colori. E’ il giallo il suo preferito. Grandissima gioia per tutti. Dal prossimo settembre Arathia andrà a scuola. E non resterà muta e sola nel suo banco.

L’integrazione si fa a piccoli passi, inizia dal basso, dai buoni rapporti di vicinato, da una mano tesa, da un sorriso. Anche questa è accoglienza.

Sono tanti i bengalesi che vivono nel nostro territorio. 

“Quasi 600 – conferma Abel, 37 anni, rappresentante della comunità bengalese di Fiumicino.

“Arrivano solitamente prima gli uomini. Poi – una volta che si sono sistemati – chiedono il ricongiungimento per le loro mogli e i figli rimasti in patria” – spiega.

Abel ha sempre lavorato. E tanto. Nel settore dell’hotellerie soprattutto. Nei grandi alberghi situati nelle vicinanze dell’aeroporto e presso le terme. Un settore che assorbe molta parte dei giovani di buona famiglia provenienti dalla capitale Dacca. . Il tipico fair play di stampo britannico è molto apprezzato – e per ovvie ragioni –  in questo campo. 

“In realtà tutti lavorano e sono ben integrati qui – dice Abel – Negli anni chi è riuscito a risparmiare ha aperto un’attività commerciale”

E sono principalmente gli internet point, le frutterie e i negozi di alimentari le principali fonti di reddito dei bengalesi a Fiumicino

“Il rispetto – sottolinea Abel – e l’educazione sono la prima cosa per integrarsi in una città straniera”

E aggiunge che praticamente tutti i venditori ambulanti provenienti dal suo Paese – quelli che lavorano in spiaggia o vendono rose nei ristoranti – provengono da Roma o addirittura da altre zine del Lazio e di Italia.

Il venerdì – giorno sacro all’Islam – i musulmani della comunità si riuniscono in preghiera presso il Centro Islamico di via Portunno. La loro presenza discreta è ben tollerata dai residenti.

“Ci svegliamo alle 5 e prima di andare al lavoro, andiamo a pregare. Questo non ci impedisce di avere buoni rapporti con persone appartenenti ad altre fedi religiose – dice Abel – Parola chiave: tolleranza!” 

In realtà è accaduto in più occasioni nella capitale che alcuni bengalesi siano stati aggrediti per il semplice fatto di appartenere ad un’altra cultura.

Particolarmente grave l’episodio occorso a Nettuno il 2 luglio scorso dove un bengalese è stato picchiato a calci e pugni mentre stava vendendo rose nel borgo medievale. 

Ad Ostia nel marzo scorso una coppia uccise un giovane della provincia di Dacca con un pugno mentre lo stava rapinando.

A Fiumicino un episodio analogo si verificò otto anni fa. Gli autori del gesto vennero fortunatamente arestati con l’accusa di lesioni personali aggravate.

 

Rosanna Sabella

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