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«Noi, sopravvissuti al disastro della Concordia»: il racconto di una famiglia di Pomezia che quella notte era a bordo della nave

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naufragio concordia

Era il 13 gennaio del 2012 quando la nave Concordia della Costa Crociere naufragò provocando la morte di 32 persone e il ferimento di altre 157. Quella notte però, a bordo della nave, c’era anche una famiglia di Pomezia che fortunatamente riuscì a salvarsi. Oggi, a distanza di 10 anni, abbiamo ricordato con loro quell’immensa tragedia. 

Qual è il primo ricordo che vi torna in mente pensando a quello che è successo?

Massimiliano: «Ancora oggi faccio fatica a credere che possa essere successa una cosa del genere. Mi sembra surreale. Ma il primo ricordo è sicuramente il terrore che sentivamo».

Maria Pia: «Anche per me la paura, ma la paura più che altro di non sapere cosa fare. Il sentirsi impotenti di fronte a quello che stava accadendo».

Come ci avevate raccontato 10 anni fa avevate organizzato il viaggio per una ricorrenza particolare ma in realtà durò pochissimo…

Massimiliano: «Sì poco più di due ore e mezza circa. Ci eravamo imbarcati a Civitavecchia con la famiglia di mio cugino e la sera stesse avvenne la tragedia. Alle 19,00 avevamo cenato, dato che avevamo scelto il primo turno. E alle 22,00 è iniziato l’incubo».

Maria Pia: «Sì, il programma era quello di festeggiare i miei 40 anni e per l’occasione volevamo fare qualcosa di diverso, una vacanza diversa. Non c’è che dire, diversa è stata “diversa”!»

L’intervista realizzata nel 2012 con Massimiliano e Maria Pia

Ci raccontate cosa ricordate di quella sera? Quando vi siete resi conto che qualcosa “non andava”?

Massimiliano: «Allora, una volta finito di mangiare ci siamo recati nella sala giochi con i nostri figli al ponte 5. Ad un certo punto abbiamo sentito un boato e poi una specie di terremoto. Era la nave che urtava lo scoglio, come avremmo poi scoperto più tardi, coricandosi sul lato destro. Già in quel momento, guardando negli occhi mio cugino, abbiamo avuto la sensazione che c’era qualcosa che non andasse. Con una scusa abbiamo preso i bimbi per andare a fare una passeggiata. Ci siamo affrettati a quel punto per raggiungere le scale quando è andata via la luce. Il blackout sarà durato un minuto all’incirca ma tanto è bastato per far scoppiare il caos. Sentivamo urla e grida. Tornata la luce mi sono accorto che eravamo in corrispondenza del ponte 4: mi è subito venuto in mente che lì c’ero già stato poco dopo la partenza con mio cugino per fumare e mi ero accorto che c’erano le scialuppe di salvataggio. Per questo gli avevo detto, scherzando, di ‘tenerlo a mente in caso fosse successo qualcosa…’»

Maria Pia: «Siamo rimasti quindi sul ponte ma l’altra famiglia che era con noi era salita ai ponti più alti. Fortunatamente, essendo vicini alla costa, i cellulari non hanno mai perso il segnale. Siamo quindi riusciti a rimanere sempre in contatto e a riunirci».

Molti testimoni riferiscono che in quei momenti nessuno dell’equipaggio dei bordo abbia dato indicazioni chiare su quanto stava accadendo. Voi cosa ricordate a questo proposito?

Massimiliano: «Sinceramente non mi sento di condannarli perché a loro volta attendevano istruzioni “dall’alto” che non arrivavano. Un particolare mi colpì: il personale indossava un trench che li rendeva tutti uguali, dunque era impossibile distinguere – figuriamoci col buio – un ufficiale da un cameriere. L’unica cosa che ci sentivamo ripetere era di ‘stare calmi e tornare nelle cabine’. Noi però non ci siamo mossi da lì. Probabilmente se fossimo tornati nella cabina oggi non saremmo qui…».

Maria Pia: «Ad un certo punto Massimiliano ha ‘forzato la mano’ e siamo saliti sulle scialuppe di salvataggio ma siamo stati costretti a scendere una prima volta. C’era una donna, una Filippina, che in particolare continuava a ripetere di tornare in cabina, si è vista tante volte in Tv. La nave però si stava inclinando sempre di più».

Avevate fatto la simulazione di evacuazione?

Massimiliano: «In realtà no. Da quanto abbiamo avuto modo di sapere in realtà erano in programma per il giorno dopo a Savona. Ma anche altri passeggeri, saliti ad esempio a Palermo, non le avevano fatte. Credo fosse una prassi in vigore in quegli anni che oggi è stata cambiata se non sbaglio».

Torniamo al racconto. Cosa è successo poi?

Massimiliano: «Noi facevamo cordone per rimanere in piedi perché stare in equilibrio era sempre più difficile. Quando è suonata la sirena d’evacuazione è scoppiato il finimondo: la gente è salita a bordo come delle bestie, senza rispettare alcun ordine di precedenza. Non solo: chi entrava nelle scialuppe nemmeno andava in fondo per lasciare spazio agli altri per entrare; così si sono formati dei veri e propri ‘tappi’ che impedivano a tutti di salire a bordo. Noi ci siamo riusciti ma siamo caduti a terra uno sopra l’altro. Una volta in mare ricordo di aver chiamato i Carabinieri perché il pilota alla guida della nostra scialuppa continuava ad andare a sbattere contro non si sa cosa, a noi sembrava la nave ma non vedevamo nulla; al 112 avrò urlato non si sa quante imprecazioni perché non riuscivo a capire. Poi abbiamo realizzato invece che un’altra scialuppa era rimasta incastrata e il marinaio stava solo cercando di ‘liberarla’ dal braccio meccanico. Una manovra che alla fine riuscì».

Avete mai pensato che tra le persone che hanno perso la vita potevate esserci anche voi?

Massimiliano: «Assolutamente sì, ci pensiamo sempre».

Maria Pia: «In quei momenti ti passano tantissime cose per la testa, pensieri velocissimi. Ricordo di aver detto a Massimiliano quando la nave ormai era tutta inclinata: ‘se la situazione degenera prendo i figli e mi butto in acqua’ perché l’unico a non saper nuotare era Massimiliano».

Come è stato l’arrivo a terra?

Massimiliano: «Una scena che non dimenticheremo mai. Migliaia di persone, 4,000 grosso modo, tanto erano le persone a bordo, stipate improvvisamente nella zona del porto del Giglio che è davvero di piccole dimensioni, immaginiamo grande come Piazza Indipendenza. Credo fosse mezzanotte. Siamo passati da un caos all’altro, tutti cercavano un posto per passare la notte, avevano aperto la Chiesa, una palestra, l’Albergo ma era tutto pieno. Ricordo di aver fermato una persona per chiederle dove potessimo andare ma lei, vedendoci con 4 bambini piccoli ci ha chiesto: ‘quanti siete?’. E poi ci ha invitato ad andare con lei».

Maria Pia: «Questa signora ci ha dato le chiavi della sua casa, un’abitazione che affittano d’estate ai turisti. Sono stati angeli, in questo modo abbiamo passato la notte. Ci hanno trattato come fossimo di famiglia».

I vostri figli avevano 5 e 12 anni: come hanno vissuto i momenti successivi al naufragio?

Maria Pia: «Matteo era piccolo, per diverso tempo parlava solo di morte, almeno un mese. Evitava i telegiornali perché chiaramente non si parlava di altro. Crescendo abbiamo visto che non ama film o programmi particolarmente drammatici ma non possiamo dire con certezza se quanto accaduto centri o meno qualcosa Martina era già più grande. In particolare ricordo che tempo dopo andammo una volta al Porto di Anzio e si mise a piangere. Piano piano è andato scemando anche perché ognuno elabora i ricordi a modo proprio».

Massimiliano: «Ricordo che Martina ha avuto modo di raccontare la sua esperienza in un tema a scuola che aveva per titolo ‘la giornata più bella della tua vita’: io le ho detto di parlare della Concordia. Da un’altra prospettiva in effetti, guardando il bicchiere mezzo pieno, è stato davvero un giorno felice perché in fondo siamo ancora qui…».

Per voi invece?

Massimiliano: «Ovviamente di navi e crociere non ne abbiamo più voluto sentire parlare. Dopo quella notte ho iniziato a soffrire di attacchi di panico nei luoghi affollati e anche prendere un treno è per me complicato. Sono cose che ti segnano per sempre. Volevo farmi forza e tornare almeno a trovare le persone che ci avevano ospitato quella notte ma alla fine non ce l’ho fatta; sono venute loro da noi a Roma, tanto per rendere l’idea»

Maria Pia: «Io devo dire che forse ho elaborato diversamente la cosa. Posso dire che ci sono a volte ricordi rumori intensi che mi riportano subito la mente a quella notte».

Posso chiedervi cosa pensate di Schettino?

Massimiliano: «E’ indubbio che, forse, sia servito come capro espiatorio dato che probabilmente anche altri sbagliarono. Una cosa però non gli perdono: di essere sceso dalla nave prima di mio figlio. Se avesse dato subito il segnale di evacuazione non sarebbero morte così tante persone».

Da Il Corriere della Città – FEBBRAIO 2022

 

 

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