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Rapporto Mafie nel Lazio, il focus su Pomezia

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E’ stato presentato oggi il Rapporto sulle Mafie nel Lazio, uno strumento importante che si propone l’obiettivo di offrire un quadro d’insieme delle mafie nel Lazio per denunciare e affrontare con determinazione il fenomeno e la sfida della legalità. Alla presentazione del rapporto hanno partecipato, tra gli altri, oltre al presidente, Nicola Zingaretti, anche il coordinatore della Dda Procuratore Aggiunto, Michele Prestipino, il comandante dei Carabinieri Lazio, generaleAngelo Agovino, il capo del secondo reparto della Dia, Maurizio Calvino e Gianpiero Cioffredi, presidente dell’Osservatorio per la sicurezza e la legalità della Regione Lazio. All’interno del documento (scaricabile qui) una sezione è stata dedicata al territorio di Pomezia.

Rapporto “Mafie nel Lazio”: Pomezia e Torvaianica

 

Pomezia e Torvaianica. Come già evidenziato nella premessa storica al
presente Rapporto l’infiltrazione mafiosa nel tessuto sociale, economico e
politico nel Lazio ha origine a proprio a Pomezia quando il boss di Cosa
nostra Francesco Paolo Coppola nel 1952 si trasferì in questa cittadina
con il suo gruppo criminale, esportando nel cuore della regione il modello
mafioso. Come scrive la Commissione parlamentare d’inchiesta sulla
mafia: «Nel comune di Pomezia, costituito 50 anni fa da gruppi etnici di diversa estrazione attorno agli insediamenti industriali, che ne hanno determinato il rapido sviluppo economico, vi è stato l’inserimento di elementi dediti ad attività criminose. La struttura pubblica non è rimasta immune da contaminazioni e gli amministratori locali sono stati oggetto di frequenti inchieste giudiziarie». « […] il comitato – si legge nella
Commissione antimafia in Sicilia – ha sviluppato l’indagine sull’attività
di Coppola ed ha accertato che egli aveva frequenti ed intensi rapporti
con alcuni amministratori e funzionari dei comuni di Pomezia ed Ardea e
ciò al fine di ottenerne favorevoli interventi in ordine ai suoi molteplici
interessi in iniziative edilizie avviate in terreni di sua proprietà siti nella
zona; analoghi rapporti Frank Coppola aveva con amministratori e
funzionari dell’amministrazione provinciale per quanto si riferisce alla
esecuzione di opere pubbliche interessanti le sue proprietà». Altrettanto
severo è il giudizio della Commissione antimafia sugli amministratori del
comune laziale nel 1991: «Non è apparsa sufficiente, tra gli
amministratori del Comune – in un centro di antico insediamento mafioso
(il clan di Frank Coppola) – la sensibilità per le caratteristiche che
assume in quel contesto il fenomeno criminale. Se da una parte è
comprensibile il rifiuto di una stigmatizzazione della città, dall’altro sono
ben tangibili i dati di un perdurare delle radici […]». Tra il 1990 e il
1991, fra l’altro, sono numerosi gli attentati e le intimidazioni contro
esponenti della pubblica amministrazione e persino contro la stazione
dell’Arma dei carabinieri di Torvaianica. Nei primi anni  ‘90 fra
Pomezia e Roma ha operato una agguerrita consorteria guidata da
pregiudicati siciliani, calabresi e laziali. Come si legge in una sentenza
della Corte d’Assise di Roma: «Un permanente vincolo associativo è
stato fissato dagli imputati la cui nascita e la cui evoluzione nel tempo
consentono di ritenere realizzata, inizialmente, l’ipotesi di associazione a
delinquere tradizionale e, successivamente all’entrata in vigore della
nuova norma, l’ipotesi speciale dell’associazione a delinquere di tipo
mafioso di tipo mafioso». Un clan si è reso colpevole anche di omicidi
con il metodo della “lupara bianca”, tra Pomezia e Roma. Nelle carte
della Corte d’Assise di Roma (nella sentenza di condanna per i colpevoli
di questi delitti) i giudici dedicano alcuni passaggi proprio alle
connivenze del territorio e degli amministratori locali con i boss delle
consorterie mafiose operanti a Pomezia e nel circondario. A pochi chilometri da Pomezia, a Torvaianica, secondo quanto stabilito da
sentenze passate in giudicato, Cosa nostra avrebbe avuto storicamente
rilevanti appoggi logistici da gruppi criminali di narcotrafficanti legati
alla mafia, guidati da Emanuele Di Natale e da soggetti contigui che
garantirono abitazioni sicure per lo svolgimento di riunioni operative,
come ha confermato anche recentemente il collaboratore di giustizia,
Gaspare Spatuzza. L’operazione “Bigne”, 11 novembre 2000, ha
portato a 12 arresti per associazione a delinquere finalizzata al
compimento di estorsioni nell’area compresa tra Pomezia e Ardea.
Secondo gli investigatori la banda guidata dal pregiudicato Armando
Martinelli (paralizzato dal 1977 dopo uno scontro a fuoco con le forze
dell’ordine) avrebbe imposto con il terrore il pizzo tra i commerciati:
prima una bottiglia incendiaria davanti all’esercizio commerciale, preso
di mira, e poi una telefonata per la richiesta di denaro. E chi non pagava
subiva attentati. L’indagine coordinata dal sostituto procuratore Diana De
Martino allora alla Dda di Roma, ha evidenziato quel livello di legami
malavita – politica che la Commissione antimafia nove anni prima aveva
già denunciato. Nell’ambito di un altro procedimento, relativo ai delitti
di estorsione aggravata, rapina ed associazione delinquere […] inoltre,
grazie all’ascolto delle conversazioni avvenute all’interno
dell’autovettura Golf di proprietà di Armando Martinelli, tramite
intercettazioni delle forze dell’ordine, emergeva come nella zona di
Pomezia, Torvaianica e Ardea fossero state commesse una serie di
estorsioni in danno di esercizi commerciali e di rapine ad istituti bancari
riconducibili al gruppo facente capo, per l’appunto a Martinelli. Scrive il
Gip, che in questi dialoghi si […] «evidenzia l’esistenza di allarmanti rapporti tra lo stesso ed alcuni amministratori locali e, comunque un forte
inserimento nell’ambiente affaristico – politico di Pomezia». La
presenza di un’agguerrita consorteria criminale tra Torvaianica e Ardea,
ascrivibile alla cosa nostra catanese in contatto e stretta collaborazione
con la famiglia romana dei Nicoletti, è attestata da numerose indagini e
sentenze passate in giudicato che hanno riguardato la commissione dei
delitti di omicidio, estorsione ed usura. Di particolare interesse è quanto
emerso nelle attività di indagine del centro operativo Dia di Roma sul
clan camorristico Zaza a Pomezia che ha portato al sequestro di due
alberghi usati come base per le attività illegali della consorteria
criminale: il G hotel e il Jolly hotel. Anche per queste aree prese in
esame sono i cosiddetti “reati spia” a tracciare la pressione criminale sul
territorio. A seguire un excursus dei principali reati commessi nella
cittadina in oggetto nell’anno 2014 ad oggi: l’11 gennaio è stato
gambizzato un imprenditore, 13 agosto è stato gravemente ferito un
pregiudicato (che in seguito alle ferite morirà dopo pochi mesi), il 23
agosto viene gambizzato un pregiudicato di origine napoletana. In tale
contesto, appare opportuno segnalare due gravi attentati ad attività
commerciali relative alle scommesse legali: il 13 febbraio ignoti
incendiavano la serranda di una sala slot e il 15 febbraio contro una
diversa agenzia di scommesse venivano esplosivi vari colpi di pistola.
In relazione agli ultimi dodici mesi presi in esame dal presente Rapporto,
il procuratore della Repubblica di Velletri Francesco Prete descrive così
lo “spaccato” criminale della città di Pomezia, nella sua relazione
all’apertura dell’anno giudiziario: «Il 13 settembre 2014, in Pomezia,
Simone Stefanello veniva attinto da due colpi di pistola da due individui a
bordo di una moto, fuori l’abitazione di altro individuo saldamente
inserito nel traffico di stupefacenti su piazza. In relazione a tale delitto, le
indagini avviate e proseguite nel corso del 2015 hanno dischiuso agli
inquirenti un segmento importante di spaccio sulla piazza di Pomezia, posto in essere con un’articolata organizzazione. Attualmente tutti i
soggetti coinvolti in questo traffico sono stati raggiunti da provvedimento
cautelare e di questi otto sono a giudizio con decreto di giudizio
immediato e i restanti cinque con richiesta di rinvio a giudizio. E’ di
palese evidenza come un sistema collaudato di spaccio, con capacità di
smercio di alcune centinaia di dosi settimanali (quantificazione empirica
e per difetto desunta dal “monte ore di spaccio giornaliero”, dai contatti
intrattenuti quotidianamente, dalla frequenza degli approvvigionamenti,
dai sequestri ed arresti effettuati in corso di indagine) abbia generato un
conflitto risolto nel sangue». Attraverso il lavoro d’indagine coordinato
dalla Dda di Roma è possibile quest’anno ripercorrere alcuni fatti
criminali avvenuti tra Ardea e Pomezia. Partendo dalla gambizzazione
nel 2013 a Tor San Lorenzo Ardea di Mirco Maccarelli, grazie alla
collaborazione con la giustizia di Giancarlo Orsini, “killer a tariffa” reo
confesso legato ad ambienti della mala di Ostia e dell’estrema destra,
emerge il contesto i cui matura la gambizzazione di Maccarelli. Nelle
carte che raccolgono la collaborazione di Orsini il suo racconto in presa
diretta di questo ed altri fatti criminali collegati: «Allora la prima
gambizzazione la pistola è coinvolto una persona che si chiama Andrea
che si chiama Andrea che è rintracciabile perché ha affari di un certo tipo
con Massimiliano Mazinga di Ostia Andrea ha una ricevitoria una sala
scommesse a Torvaianica la gambizzazione è avvenuta mi sembra
settembre agosto comunque una gambizzazione che è avvenuta a Torvaianica alle quattro e qualcosa di mattina. La persona gambizzata
è una persona che spacciava e la gambizzazione è stata commissionata da
questo Andrea non ricordo il cognome ma dovrebbe essere facilmente
rintracciabile gestisce, è il proprietario di questa sala scommesse sala tipo
la Snai penso sia qualche cosa del genere che è sul litorale proprio sulla
via di Torvaianica era la prima cosa che avevo fatto violenza diciamo non
volendola fare mi sono limitato a sparare al personaggio alla macchina
per farlo desistere da affari loschi che faceva in zona perché praticamente
era stata commissionata per farlo andare dalla zona perché spacciava era
uno spacciatore della zona Siccome non ha sortito l’effetto, mi appostai
tre ore sotto dove mi avevano detto che c’ aveva una macchina e sparai su
una Panda tre o quattro colpi di 45»

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