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Piazzale Ostiense, la nuova kasbah di finti profughi che commerciano cuccioli di cane insieme ad abiti e cianfrusaglie

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La nuova frontiera del crimine punta sul pietismo. E fa leva sui buoni sentimenti per raggiungere i suoi scopi.  I consumatori abituali di sostanze inventano ogni giorno nuovi espedienti per procurarsi la prossima dose. Un mercato attivissimo e in continua evoluzione quello dello spaccio di droghe pesanti – soprattutto eroina – che si svolge open air anche in pieno giorno nella nuova kasbah di piazzale Ostiense

Poco importa che proprio di fronte all’ingresso della stazione Roma Lido una pattuglia della Polizia di Stato faccia capolino fissa, ogni giorno, tra i cespugli. La sua presenza immobile, silenziosa come la Piramide Cestia che campeggia sullo sfondo, sembra ormai far parte del paesaggio pertanto non desta la minima preoccupazione nelle orde di sbandati che hanno ormai da tempo occupato l’intera area. 

Ad attirare la nostra attenzione in particolare due giovani barbuti che barcollano vistosamente sventolando un cucciolo di cane come fosse uno straccio, uno dei tanti stracci smerciati dai bengalesi assoldati dalla camorra, sulle bancarelle che costeggiano via Marco Polo in direzione della Stazione Ostiense. Non riusciamo a restare indifferenti. Sono animali utilizzati per attirare l’attenzione e suscitare pietà e con noi ci sono riusciti. Acceleriamo il passo e li seguiamo. I due si sono fermati a trattare con altri loschi figuri. Biascicano in un italiano stentato le loro proposte. “Cercavo un cagnolino come questo – esordisco – lo vendete?”

Duecento euro per (liberare) un cucciolo di cane

Il tipo mi guarda di sbieco da sotto la bandana colorata e con uno stecchino tra i denti spara: “Duecento euro e te lo porti via”.

“Duecento euro? Sono tanti amico…” Stretta tra gli sguardi degli astanti che di fronte all’improvvisato spettacolino ci hanno circondato, mi sento improvvisamente molto in imbarazzo. “Facciamo cinquanta, dai”, provo a far calare la vergognosa proposta.

“Non è possibile, amica”, dice il tipo, sempre con la testa reclinata, lo sguardo di traverso che punta dritto agli occhi per capire che pesci siamo, il fotografo ed io. 

“Cento allora, dai, incalzo, lo sguardo fisso a quella creatura che sembra immensamente provata e frastornata. Prende il cellulare. “Dai un’occhiata a sua madre – mi dice porgendomi il suo telefono –  è un pinscher”.

“Guarda, amico, conosco bene i cani. Questo non è un pinscher, ma un meticcio. Facciamo 150 e non ne parliamo più” .

Accettano infine i due loschi individui. Propongo a quello che sembra essere più “scafato” di accompagnarmi al più vicino bancomat per prelevare. (nel frattempo il fotografo se n’ andato). Durante il tragitto cerco di farlo parlare. “Di dove siete?”, chiedo.  “Siamo afghani”. E’ la risposta. Non so perché ma non mi fido. “Ah sì? – insisto – E siete arrivati qui a Roma ora, con i voli speciali?”

“No – dice lui. Siamo arrivati nel 2007. Dalla città dei Buddha – dice – Bamyan… Ora dormiamo in un camper, al Tuscolano, con gli zingari. Lì c’è il suo fratellino – aggiunge – vieni a comprare anche quello!” Rimango basita. Certo, troverò il modo di recuperare anche lui e di far luce su questa sporca faccenda. Anche perché il tipo ormai si fida e mi lascia spontaneamente il suo numero di telefono.

Mi chiedo come ci si possa ridurre in quello stato e provo a suggerire – anche per sondare un po’ il terreno – di rivolgersi alle associazioni benefiche, alla Caritas. “La Caritas, la Caritas – risponde seccato – ti danno un piatto di pasta e finisce…”

Riesco finalmente a prendere tra le braccia la piccola Lucy. E’ davvero molto piccola e fa una tenerezza infinita. Almeno lei ora è salva. Ma quanti cuccioli mi chiedo vengono sbattuti da una parte all’altra di Roma in mano a questa gente senza scrupoli che ne fa commercio? Mi avvio col mio dolce bottino alla stazione Ostiense a prendere il mio treno.

Davanti al bar dove mi fermo con Lucy a prendere un caffè un uomo vestito di nero, fatto e ubriaco, con la bottiglia di birra semivuota ancora in mano mi chiama e mi fa cenno di avvicinarmi. “Hey! – grida – quella è Alina. Quel cane è mio. Ridammelo”.

No caro, mi dispiace. Lei è Lucy e io sono la sua nuova mamma – cerco di usare un tono dolce e convincente. Inutile. Il tipo, palesemente su di giri, mi aspetta fuori dal locale. Chiedo nel frattempo ai due dietro il bancone chi sia quel soggetto e perché gli viene consentito di infastidire i passanti. Se è vero che è afghano anche lui, come gli altri. E’ lui che me lo ha dichiarato, Mohammed, come dice di chiamarsi.  Macché afghano – dice il barman – quello è tunisino…”

Mohammed mi segue fino al binario urlandomi dietro: quanto hai pagato per quel cane? 5? 10 euro? Ripete all’infinito la stessa domanda, poi minaccia di salire sul treno e venire a casa mia. Ma prima giura che chiamerà le forze dell’ordine.

Invece sono io a comporre il 112. Una, due volte cercando di spiegare la situazione. Faticano a capire il mio racconto fra i treni che vanno e vengono, la gente che parla ride grida. La mia narrazione è spezzata e un po’ confusa. Rinuncio. L’arrivo del treno precedente al mio è per la sottoscritta ed il cucciolo la salvezza. Scompaio alla sua vista. E in tre minuti sono già con Lucy, sulla strada di casa.

Rosanna Sabella

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