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Momoka Banana: l’intervista sul servizio di Striscia La Notizia e sulla cultura dell’odio

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Che Striscia la Notizia sia un tg satirico e che faccia dell’ironia il suo biglietto da visita è fatto noto. Ma cosa succede quando ci si spinge oltre la parodia? Fino a quando la satira è considerata “lecita”? O “opportuna”? Nel “mirino” questa volta uno sketch mandato in onda su Canale 5 e che vede i due conduttori del programma, Michelle Hunziker e Gerry Scotty, scimmiottare il modo di pronunciare la lettera erre da parte dei cinesi. Tra un “Lai” e un “Ventiquattlo” con tanto di dita sul viso per allungare gli occhi e “imitare” i tratti somatici asiatici. Un siparietto che ha subito scatenato polemiche e che ha riacceso i riflettori sugli stereotipi, che sembrano ormai (e purtroppo) radicati nella società. Lì dove il confine tra parodia, “politicamente corretto”, cattivo gusto e razzismo si fa sempre più labile.

Proprio a tal proposito, abbiamo intervistato Momoka, una ragazza di origini cinesi, che ci ha raccontato la sua esperienza e di come lei stia cercando di combattere contro cliché ed etichette che nel 2021 non dovrebbero esistere. 

Ciao Momoka, raccontaci un po’ di te 

«Buongiorno a tutti, io mi chiamo Momoka Banana. Spiego subito cosa si intende per “Banana”: io l’ho scelto come pseudonimo proprio perché viene utilizzato come un termine dispregiativo, significa infatti: “gialla fuori e bianca dentro”. Di per sé lo pseudonimo non viene proprio visto in maniera positiva, perché vuol significare essere un po’ ibridi. Proprio questo essere ibridi da ragazzina un po’ mi faceva soffrire: un po’ come Balto, non mi sentivo né cane né lupo, quindi né italiana né cinese. Poi crescendo ho capito che vivere in bilico tra queste due culture fosse una ricchezza ed è per questo che ho voluto appropriarmi di questo termine, levandone l’accezione negativa, fin da quando sono diventata attiva sul web. A 12 anni ho aperto il mio primo blog, poi con i social network mi sono spostata su altri canali; è bello però vedere tanti ragazzi di “seconda generazione”, come me, mi dicono che grazie al modo in cui mi approccio a questa cultura cinese/italiana si vergognano anche di meno loro. Magari alcuni vengono da famiglie abbastanza tradizionaliste o anche nazionaliste che fanno già pesare loro il fatto di non essere 100% cinesi. Io, come loro, vengo da questo background con i genitori molto tradizionalisti e quando ho iniziato a stare sul web decisi di parlare di me stessa, della mia vita. Poi però mi sono resa conto che dell’informazione vera sul mondo cinese non esisteva, forse proprio perché è un mondo così lontano (sia culturalmente che geograficamente) e ho voluto un po’ fare da ponte tra queste due culture».

Il parere di Momoka Banana sullo sketch di Striscia la Notizia

Hai proprio ragione, i social network dovrebbero servire principalmente a questo: creare ponti tra le persone e comprendere le verità. Infatti è proprio di verità che parleremo oggi. Partiamo proprio dallo scandalo di Striscia La Notizia sugli stereotipi cinesi, parliamo di uno sketch (di quasi 500mila visualizzazioni) andato in onda su Canale 5, dove ironicamente si è creata una situazione che può definirsi razzista. Gerry Scotti, ex componente del parlamento italiano, e Michelle Hunziker, attrice e modella italo-svizzera, hanno iniziato a prendere in giro la pronuncia tipa dei cinesi della “R”, chiamando il network “Lai” invece di “Rai”. I presentatori hanno poi tirato indietro gli angoli degli occhi con un gesto tipicamente razzista usato per caricaturizzare gli asiatici. Con gli occhi tirati in su, la Hunziker ha iniziato a parlare in modo incomprensibile e insensato. Il gesto ha letteralmente scatenato rabbia sul web ma anche molto sconforto nella sensibilità delle persone di origine cinese. Vorrei quindi chiederti: qual è il tuo punto di vista su quella messa in scena?

«Io ho avuto modo di vedere lo sketch tramite pagine anti-razziste che lo avevano condiviso, di base all’inizio la scenetta mi ha fatto semplicemente tristezza. Di mio non guardo la tv, non sono la spettatrice ideale, per tanto mi sono limitata a scrivere un paio di righe sulla questione: “Come possiamo aspettarci che i bambini a scuola non vengano presi in giro se fanno queste cose in televisione”. Poi però è stata rilanciata da Diet Prada e ne hanno iniziato a parlare tutti: giornali, pagine social e a quel punto ho deciso di dire la mia, dialogando con la gente. I punti sostanziali di cui la gente parlava erano sempre gli stessi, ed ho deciso quindi di prenderli e affrontarli. La prima cosa che tutti han detto è stata: “è solo uno sketch, fatevi una risata”. Io, dal mio punto di vista, capisco che la scenetta non sia stata fatta con cattiveria, probabilmente però non vivere in prima persona certe realtà ti fa approcciare a quelle frasi ironiche come fossero un mondo a sé stante. Però io con quelle prese in giro, con la “l” al posto della “r”, ci sono cresciuta dall’asilo alle elementari. Tutt’oggi i ragazzi continuano a prendermi in giro per strada. Addirittura arrivano a farci gli scherzi al ristorante cinese dei miei genitori, ed è questo che mi fa più arrabbiare: siamo persone che lavorano. Mi dispiace soprattutto quando è mia madre a rispondere; io provo a mantenere un tono pacato, restare neutrale, eppure mi sono resa conto che non basta dire “è sbagliato” affinché capiscano; bisogna spiegare che certe azioni possono avere un impatto sulla vita delle persone.  Poi però leggo: “Cosa che c’entra lo sketch con le prese in giro?” Ed il problema è qui: questi stereotipi vengano normalizzati dai programmi tv di questo genere. Il secondo argomento molto letto è stato: “Vabbè allora che dobbiamo dire noi italiani che ci prendono sempre in giro con gli stereotipi del mafioso. A me (persona x) non dà fastidio”. Il fatto che non dia fastidio ad una persona è solo un punto di vista, il problema è che quella stessa persona non ha l’empatia per capire che a qualcun altro potrebbe dar fastidio. Forse bisognerebbe tutelare le persone più sensibili. Un altro punto che ci tengo ad evidenziare è che molte persone che erano in dubbio su questa questione, quando poi ho provato ad avvicinarmi a loro dicendo magari: “Forse non ti danno fastidio gli stereotipi sugli italiani perché vivi in Italia e qui le persone non ti fermano per strada per dirti mafia. Però un italiano che è cresciuto all’estero e che deve spesso sentire queste battutine dopo un po’ inizia a sentirsi infastidito”. Dopo quel video molti italiani all’estero mi hanno scritto per dirmi quanto questi stereotipi pesano nella loro vita quotidiana. Quello che manca insomma è mettersi nei panni degli altri: capire che magari su di te, certi stereotipi non hanno impatto, ma su qualcun altro sì».

Il Coronavirus, il razzismo nei confronti dei cinesi e la malattia che ha stravolto la vita di tutti

Ora che ho l’occasione di parlare con una ragazza come te, che ci sta dando l’opportunità di trattare temi delicati, volevo affrontare l’argomento Coronavirus. È un anno che facciamo i conti, sotto ogni punto di vista, con la pandemia: all’inizio però c’è stato un boom di odio nei confronti dei cinesi. Tu come l’hai vissuta? Hai accusato questo essere guardata come “portatrice di virus”?

«Assolutamente. Devo dire che io sono stata attiva dalla questione Covid e xenofobia sin dall’inizio del virus a Wuhan. Già con i miei genitori, al ristorante, abbiamo subito accusato l’epidemia: sin da quando si parlava della situazione a Wuhan la clientela si è dimezzata. Dentro di noi pensavamo (e speravamo) che sarebbe durata qualche mese, poi però l’epidemia è diventata pandemia e lì sono iniziati tutti i commenti che temevo. Ancora oggi, sotto il mio video di striscia ho letto: “Vi lamentate e intanto avete appestato il mondo”. In quel primo periodo seguivo tantissimo le notizie, anche se c’erano molti falsi allarmi ed io ogni volta che c’era qualche caso sospetto di Coronavirus avevo un’ansia terribile. Leggevo queste notizie ed i commenti orrenti che seguivano, dentro di me speravo davvero che non arrivassero casi in Italia. Quando poi sono stati individuati i due turisti positivi, il 30 gennaio, mi si è gelato il cuore. Ed infatti poi nel febbraio 2020 sono state tantissime le notizie di bullismo e aggressioni solo per il solo fatto di essere cinesi».

In qualche modo hai rivissuto quel bullismo che vivevi quando eri piccola. Questa volta però a causa di una pandemia che ha riguardato tutti.

«Esatto, ricevo tantissimi commenti di questo genere, come se fossi io la colpevole del Coronavirus, una volta mi scrissero: “L’avete fatta grossa questa volta”. Purtroppo credo che certo persone hanno per forza bisogno di avere un colpevole».

Violenza nei confronti degli asiatici in America

In America infatti, nell’ultimo periodo, si sono sviluppati degli atti di violenza nei conforti degli asiatici letteralmente ingiustificati. Da lì poi è nato un movimento “Stop Asian Hate” che ha cercato e cerca di placare questa xenofobia nei confronti dei cinesi.  Stiamo facendo i conti con la cultura dell’odio. Ma secondo te, ci sono degli step da affrontare per ridurre questa xenofobia stremante ?

«Quando vedo atti di razzismo da parte di cittadini normali, ovviamente sono triste; quando però vedo che le frasi razziste escono fuori da persone che ci rappresentano capisco che c’è davvero un problema. Capisco quale sia la fonte di questo odio. Ad esempio, come dicevi, da Stop Asian Hate io ho letto un report dove si parla di un aumento esponenziale dei crimini verso gli asiatici ma allo stesso tempo mi sono resta conto che gli americani erano guidati da un Presidente che si ostinava a chiamare il Coronavirus come China Virus; vendevano addirittura gadget con su scritto “chine virus”. Se il tuo Presidente si pone in maniera aggressiva, è normale che la gente si senta legittimata: vive in questo clima, le cose le ascolta dai telegiornale.  Ma anche qui in Italia, dopo la diffusione del video di Leonardo, si sono pronunciati politici: persone di nostro riferimento che alimentavano le fake news».

Quanto i media incidono

La divulgazione attraverso i media dovrebbe essere più consapevole. Forse le Istituzioni dovrebbero essere più attente su queste cose. Anche perché leggendo alcune notizie, può davvero venir fuori l’odio e il razzismo. Poi molto spesso le persone non leggono l’articolo, si fermano al titolo.

«Esatto, magari si limitano a leggere il titolo e non controllano neppure la fonte. Perciò, se si iniziasse ad avere un po’ la destrezza di comprendere la vera natura delle informazioni forse staremmo meglio. Io non dico che tutti debbano essere “colti”, cioè lo preferirei, però mi rendo conto che esistano diverse realtà: è proprio chi fa informazione dovrebbe assumersi le responsabilità. L’informazione dovrebbe essere più studiata, non superficiale.
Anche solo se si parla della Cina in generale si hanno tantissimi stereotipi ma la Cina è un paese grande quanto tutta l’Europa, ci sono migliaia di sfaccettature differenti di cui non si parla mai. Si tende sempre ad unicizzare in un unico pensiero quel che è. Però conosco anche tanti sinologi che riescono a contestualizzare meglio le notizie: potrebbe essere questo un modo per dialogare, costruttivamente e crescere tutti assieme».

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