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Stupro di Palermo come quello di Roma a Capodanno: “Cara ragazza ti capisco, mia figlia ha vissuto lo stesso calvario”; la lettera

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Il papà della vittima del cosiddetto stupro di Capodanno scrive una lettera alla ragazza abusata a Palermo

Cambia il luogo ma la violenza si ripete identica a se stessa, purtroppo. Vittime del branco, piano piano, le giovani vittime stuprate da un gruppo di ragazzini dovranno curare le loro cicatrici e metabolizzare, per quanto possibile, il dolore che fa capolino nel ricordo di quei terribili momenti. Lo stupro di Palermo ha scosso le coscienze e fatto emergere anche nuovi casi – spesso, purtroppo, la paura blocca le vittime nel denunciare – come ad esempio quello di due ragazzine abusate a Caivano, in provincia di Napoli. A parlare ora, con una lettera, il padre della vittima di quello che è passato agli “onori” della cronaca come Stupro di Capodanno. Lettera rivolta alla ragazza abusata a Palermo dove l’uomo mette nero su bianco le difficoltà che dovrà affrontare, proprio come è accaduto nel caso di sua figlia. Una testimonianza dove a parlare è purtroppo l’esperienza negativa vissuta, che rende ahimè ben lucidi circa il cammino da percorrere. 

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La lettera alla vittima dello stupro di Palermo  

A riportare la lettera il quotidiano Repubblica. “Cara ragazza di Palermo, sono il padre della vittima del tristemente noto stupro di Capodanno di Roma, e ti scrivo per appoggiarti. Hai fatto bene a reagire contro chi, sui social, ha facilmente concluso che a “una come te” è “normale” che capiti e di suicidio  non hai parlato a sproposito. Ma ti scrivo anche per avvertirti: sei sola, perché gli altri non comprendono”, inizia così la lettera del papa rivolta alla vittima. 

“Vittima di uno stupro di gruppo, cosa vuol dire? La gente non capisce. Prendo quindi la penna, sei tu che mi hai dato il coraggio. Scrivo per spiegare anche per te a tutti – a ognuno di noi quando viene sfiorato da pensieri come “ma in fondo se l’è voluta”, “ma era provocante”, “ma cosa sarà mai?” – il calvario di un essere spezzato nella sua dignità”.

La denuncia e l’anonimato 

“I legali sconsigliano questa testimonianza sulla stampa perché potrebbe non essere utile al processo. Noi abbiamo scelto di denunciare per mettere in guardia, non per dei vantaggi – magari economici – che sappiamo benissimo che non ci saranno mai, specie quando gli imputati dello stupro non sono attori di Hollywood e quando comunque tutti dovrebbero capire che il prezzo da pagare a esporsi in un processo come vittima di violenza è enormemente superiore a qualsiasi vantaggio personale che ne possa derivare”. 

“Quando si denuncia, si fa a difesa di tutti, per le figlie e i figli di tutti gli altri, in un mondo che dà anzi tutto alla vittima l’obbligo di mantenere l’anonimato. È un marchio sociale indelebile essere vittime. Questa è una atroce umiliazione, il primo stupro collettivo da affrontare, e tu che ti sei esposta un po’ di più probabilmente già lo sai”.

Il ricordo

Poi il ricordo di ciò che è stato: “Mia figlia aveva 16 anni quando la notte di Capodanno 2020, in una villetta, è stata drogata e brutalmente stuprata da almeno cinque individui. È inequivocabile, il referto ospedaliero certifica gravi lacerazioni, lividi e graffi. Ma per noi, come temo sarà anche per te, l’evidenza non basta: il gioco processuale sarà a  dimostrare che tu, come lei, volevate esattamente quello che vi è successo”.

“Uno stupro è un intricato puzzle di tradimenti che si incrociano e sovrappongono, e distinguendoli vorrei raccontare a tutti cosa significano nel quotidiano della vittima e di chi le vuole bene: il tradimento di chi ti usa come un oggetto e poi il tradimento di chi vede in te, vittima che ha deciso di denunciare per proteggere tutti, una scocciatura di cui sbarazzarsi così come eri solo un contenitore usa e getta di sperma”. 

 

 

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