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A POMEZIA I RIFIUTI DI TUTTO IL CENTRO ITALIA?

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Un impianto di stoccaggio e trattamento rifiuti urbani, speciali non pericolosi e speciali pericolosi che potrebbe ospitare i rifiuti di tutto il Centro Italia: perché farlo proprio a Pomezia? E perché no? Pubblichiamo di seguito l’estratto della relazione scritta dal geologo Antonio Di Lisa sulla zona della Solforata ed i presunti vantaggi decantati dalla società MAD-GST, proprietaria del sito di circa 3 ettari dove la stessa vorrebbe installare l’impianto di stoccaggio e lavorazione di rifiuti urbani, organici e speciali, sia pericolosi che non. Ricordiamo che nel territorio comunale di Pomezia, come confermato dagli amministratori locali, i quali sottolineano che “non si tratta di una discarica, dal momento che quello per cui si richiede autorizzazione non è un invaso dove andrebbero sotterrati i rifiuti, ma un sito dove i rifiuti verrebbero stoccati, lavorati e trattati”, sono già presenti altri quattro impianti analoghi.

“Il sito – si legge nella relazione del professor Antonio Di Lisa, Responsabile Urbanistica e Territorio SEL Pomezia, riferendosi alla prima ipotesi scaturita lo scorso giugno, quella di una discarica a Quarto della Zolforatella – è inserito all’interno della Riserva Naturale di Decima Malafede. Quest’ultima si estende dal quadrante meridionale di Roma sino ad arrivare a Pomezia; al fine di comprendere meglio la nostra opposizione facciamo notare che quando è stata istituita l’area protetta, il confine orientale, che decorre sempre lungo la Via Laurentina, nel suo tratto finale anziché puntare verso l’incrocio con Via dei Castelli Romani esso devia volutamente per includere l’area della Solfatara. Le motivazioni legate a tale inserimento sono molteplici, infatti, l’area è nota sin dall’antichità poiché prossima al Santuario di Tor Tignosa dove Virgilio, nel settimo libro dell’Eneide, ambienta l’Oracolo di Fauno al Re Latino (http://romanatura.roma.it/r-n-decima-malafede/la-solforata-leggenda-ed-archeologia-di-un-luogo-mitico/). I più conoscono la zona quale ex-miniera per l’attività di estrazione dello zolfo. I geologi ricercatori di sismologia e di vulcanologia del CNR e dell’Università di Roma studiano l’area da decenni poiché si tratta di uno dei siti esalativi tra i più importanti d’Italia e dell’apparto vulcanico dei Colli Albani. Questo vulcano è stato attivo sino a circa 10 mila anni fa, con testimonianze anche storiche di attività, come citate da Plinio il Vecchio. Le numerosissime pubblicazioni scientifiche sull’area affermano che questo sito esalativo vulcanico è inserito nel noto sistema di faglie di Ardea. L’area della ex miniera è confinata tra Quarto della Zolforatella, la S.P. Torvaianica-Albano e la Via Laurentina ed in essa si ritrovano sia gli scavi dell’attività estrattiva sia i cumuli dei materiali di risulta. Lo scavo principale ha pareti verticali con un fronte fuori falda di oltre 40 m mentre non si conosce quella in falda. Si presenta come un lago le cui acque sono di colore rosso per la presenza di ingenti quantità di idrossidi di ferro. A ridosso del Fosso della Zolforatella sono presenti pozze e crateri legate all’intensa attività esalativa di risalita di fluidi vulcanici. Le rocce presenti nell’area sono ricchissime di minerali ferrosi (solfuri di ferro) contenenti elevatissime quantità di uranio con un livello di radioattività naturale tra i più alti d’Italia (oltre 200 ppm, il valore medio nelle rocce tufacee laziali è di 6 ppm). In tutta l’area sono visibili crateri dalle quali risalgono dal sottosuolo ingenti quantità di gas (anidride carbonica, acido solfidrico, radon). In appena 1800 m2 di superficie sono stati stimati i seguenti flussi di gas: 600 tonnellate/giorno di anidride carbonica; 5 tonnellate/giorno di acido solfidrico; 44 miliardi di becquerel di radon. In questa zona la concentrazione di radon al suolo è di 150.000 Bq/m3 mentre ad altezza uomo è di 7.500 Bq/m3 (normalmente in Piazza Indipendenza a Pomezia il valore in aria è di 10 Bq/m3). Realizzare una discarica nella località Quarto della Zolforatella significa: Amplificazione del pericolo di inquinamento dell’aria, oltre che per i gas prodotti dagli stessi rifiuti, per l’intenso flusso di gas nocivi provenienti dal sottosuolo in un contesto territoriale che vede la presenza di siti industriali ad alto rischio (S. Palomba). Un disequilibrio dei flussi dei fluidi in risalita dovuto alla sovrappressione esercitata dai carichi in superficie, azione fortemente corrosiva operata dai gas vulcanici nei confronti di tutte le opere di contenimento e di impermeabilizzazione dell’invaso, rischio idrogeologico di inquinamento della falda freatica dovuto alla presenza di prodotti vulcanici scoriacei ad elevata permeabilità e presenza del livello di falda in superficie; incompatibilità della discarica con la tutela e la salvaguardia della Riserva Naturale di Decima-Malafede, incompatibilità della discarica per vincoli archeologici ed elevato rischio per la salute degli addetti alla gestione della stessa discarica”.

Di contro, ecco i “vantaggi che questo progetto porterà alla collettività” secondo la MAD-GST.

“Incremento della offerta di smaltimento/recupero rifiuti: questa iniziativa privata – viene riportato nella sintesi della verifica di assoggettabilità – consente di offrire alle Amministrazioni Locali, alla popolazione e alle aziende un servizio di smaltimento e recupero di rifiuti che si  affiancherà ad altre iniziative pubbliche e private, in programma ma non ancora operative e comunque insufficienti al raggiungimento dell’autosufficienza di bacino. Infatti la Pianificazione Regionale, nonché la normativa nazionale e comunitaria, sanciscono il principio di prossimità, che stabilisce l’obbligo di smaltimento dei rifiuti il più vicino possibile alla fonte di produzione, e il principio di autosufficienza, per il quale i problemi derivanti dalla produzione dei rifiuti devono essere risolti negli ambiti territoriali. La realizzazione di questo impianto garantirebbe una maggiore offerta di recupero/smaltimento di rifiuti, che da un lato permetterebbe un abbassamento dei prezzi, alle amministrazioni comunali, per effetto delle banali leggi di mercato, dall’altro permetterebbe, in caso di temporanea/definitiva chiusura di uno degli impianti previsti nel Piano Regionale, di non incorrere in situazioni di emergenza ambientale, come quella che attualmente si sta vivendo”. La ditta parla poi di incremento occupazionale “tramite il contributo che l’impianto potrà dare in modo diretto (presso il sito di trattamento) ed indiretto (indotto)” e di “Maggiore Tutela Ambientale. La disponibilità di una maggiore offerta di trattamento dei rifiuti sul territorio consentirà di ridurre i  trasporti su strada con evidente riduzione delle emissioni di CO2 e del traffico di mezzi pesanti sulle strade. Inoltre la tipologia di trattamenti che saranno effettuati nell’impianto di progetto permetterà di recuperare molte tipologie di rifiuto con reinserimento del materiale della filiera produttiva, ridurre notevolmente i quantitativi di rifiuti non pericolosi da avviare in discarica, nonché di ridurre l’utilizzo di materie prime naturali deputate alla produzione di manufatti. Il recupero di materia dai rifiuti e la produzione di energia da fonti rinnovabili, con la conseguente riduzione dei rifiuti da destinare in discarica, porterà ad una sensibile riduzione delle emissioni (CH4 e CO2 in modo incontrollato, percolato, odori, ecc.)”. I vantaggi riguarderebbero anche la “diminuzione dei costi per lo smaltimento dei rifiuti per la Collettività e le Pubbliche Amministrazioni”, dal momento che “sarà fornita alle amministrazioni Comunali la possibilità di conferire i rifiuti presso l’impianto di recupero a condizioni maggiormente vantaggiose rispetto ad oggi. Anche il recupero che sarà effettuato sui rifiuti attualmente inviati in discarica, porterà una diminuzione dei costi a carico della collettività e delle pubbliche amministrazioni”. Il tutto con osservanza della Normativa vigente. “Il nuovo impianto – si legge ancora nella lunghissima relazione – contribuirà a risolvere le problematiche connesse al trattamento dei rifiuti nella Regione Lazio, evitando l’emergenza nella gestione dei rifiuti attraverso un sistema impiantistico polivalente in grado di fare fronte ad eventuali chiusure di impianti esistenti o mancato avviamento di impianti autorizzati. Ciò permetterà anche di evitare procedure di infrazione, da parte della Commissione Europea, alla Regione Lazio, rispetto alle norme comunitarie in materia di conferimento dei rifiuti solidi urbani

Chiusura del ciclo di alcune tipologie di rifiuti realizzando una filiera corta: secondo quanto previsto dall’art. 179 del D. Lgs. 152/2006 e s.m.i., ‘La gestione dei rifiuti avviene nel rispetto della seguente gerarchia: a) prevenzione; b) preparazione per il riutilizzo; c) riciclaggio; d) recupero di altro tipo, per esempio il recupero di energia; e) smaltimento’. Secondo tale priorità imposta dalla normativa vigente, i rifiuti, nell’impianto di progetto, vengono avviati a recupero per la produzione di materie prime seconde; con il rifiuto proveniente da tali lavorazioni ed il residuo della raccolta differenziata, che attualmente viene inviato in discarica, sarà prodotto CSS, quindi energia. Anche dalla FORSU viene ricavata materia prima seconda ed energia attraverso la produzione di biogas da digestione anaerobica. La complementarietà delle attività di trattamento dei rifiuti che saranno effettuate nel sito di progetto permetterà di chiudere il ciclo di alcune tipologie di rifiuto”.

C’è da considerare inoltre che l’area interessata dallo stabilimento occuperà complessivamente “un lotto di terreno  con una superficie fondiaria pari a circa 30.805 mq, che confina a nord con una cava dismessa, ad est con terreni seminativi, a sud con terreni incolti ed a ovest con una zona industriale. Sul confine ovest, in particolare, è presente un altro impianto di trattamento rifiuti”  e che “il bacino di utenza è riferibile al territorio di pertinenza della Provincia di Roma ed alla Regione Lazio.  È ragionevole ipotizzare che il bacino di utenza si estenda anche ad altre Regioni del Centro Italia”. In pratica, Pomezia potrebbe diventare l’immondezzaio del Centro Italia, con buona pace di ecologisti ed ambientalisti e, soprattutto, dei cittadini che vi abitano.

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