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Adriana Mulassano, la Signora della Moda o il mestiere di scrivere

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Adriana Mulassano

Adriana Mulassano, nome prestigioso nell’olimpo del giornalismo e intima collaboratrice delle leggende della moda italiana, ci concede l’onore di parlare della sua vita incredibile, fatta di talento ed incontri straordinari. 

Adriana Mulassano
Adriana Mulassani con Giorgio Armani

Adriana Mulassano, vita da giornalista di razza

La Papessa della moda, come la chiamano, è una elegante Signora dai tratti raffinati e il passo ‘da Pianura’ – Padana, n.d.r- . La Lady della Milano bene non disdegna di colorare la sua ars dialectica con ironici dérapages romani, dettaglio che fa simpatia e da cui trapela un certo amore per Roma, città dove ora risiede.

Dopo la brillante carriera ‘La Mulassano’ conduce una vita attiva e con la immutata grinta di sempre. L’occhio vigile che sottolineava con la precisione di un laser pregi e difetti delle più illustri collezioni delle grandi Maisons, non ha perso smalto. 

Storia di un’icona

Adriana- Audrey per gli intimi- è  protagonista di un’esistenza a dir poco rocambolesca, per i comuni mortali. La lista di personaggi entrati nel mito con i quali ha collaborato da intima consigliera è impressionante.

Da Richard Avedon, che intravide del talento nella giovane italiana partita per misurarsi con la Grande Mela, a ‘i Grandi Cinque’ – gli stilisti che hanno consegnato alla storia il made in Italy negli anni 80– ai direttori delle più autorevoli testate dov’era penna di punta ai tempi d’oro del giornalismo di moda.

Adriana Mulassano
Una giovane Mulassano ad ‘Amica’

Celebre il racconto del momento in cui Adriana comunicò all’amico Giorgio – Armani- che di li a poco avrebbe dovuto abbandonare Milano per trasferirsi a Roma. L’amicizia tra i due fu li per li segnata dal dolore di Re Giorgio, che pare che, già a conoscenza della ferale notizia, l’attendesse in una stanza buia.

‘Allora te ne vai?’ Le chiese. ‘Si Giorgio, devo andare a Roma, da mio marito.’ Di questi ricordi, la vita della Mulassano è costellata.  

Adriana Mulassano, una trasversale conoscenza di storia di moda, tendenze e cultura 

Ai vertici dei magazins del fashion mondiale, dove dettava leggi e tendenze, Adriana era celebre per le sue stroncature, quando l’occhio critico della fuoriclasse sentiva venir meno originalità e stile, contestualizzando i suoi punti di vista grazie ad una ampia, solida conoscenza della storia della moda.

‘La Prof’, come la chiamano i suoi allievi dell’Accademia di Costume e Moda capitolina dove ha insegnato giornalismo di moda per cinque anni, esce dai panni dalla Signora che ama approcciarsi con lucida simpatia ai fatti di tutti i giorni per rientrare in quelli di chi ha segnato i tempi d’oro delle pagine del Corriere della Sera, dove faceva il bello e cattivo tempo. Oggi ci offre l’opportunità di carpire qualche prezioso segreto della professione da tenere ben stretto.

Adriana Mulassano, ‘chi non osa non usa’

Professoressa, Lei è stata allieva preferita di Richard Avedon, penna di Elle a Parigi, di Amica nel ’61, del Corriere della Sera dal ’68 all’90, contesa da tutte le testate che contavano e braccio destro del genio del made in Italy Giorgio Armani. Racconta ai lettori com’era l’America di quando cominciò a lavorare nella moda? Trovò stimolante l’ambiente lavorativo dell’epoca?

‘Aggiungiamo per la cronaca com’era l’America per una diciottenne italiana uscita da una bella maturità classica, vogliosa di fare ma con le idee confuse come tutti i teen avere. Beh era rischiosamente esaltante, quel tanto che basta per farmi decidere che ne valeva la pena.

Con Gianni Versace

Iniziò a rischio come cameriera in un bar di Brooklyn nel quale tutte le sere alle 7 compariva un signore distinto, educato, di poche parole che, dopo una quindicina di giorni che mi vedeva portare la qualunque dal bancone del bar ai tavolini dei clienti, mi chiese sorridendo ‘Non ti piacerebbe provare ad occuparti di moda?’ Ed io, a mo’ di Alice risposi ‘non lo so ‘.

L’incontro con Avedon e gli inizi a NY

‘Ma lui mi tese il suo biglietto da visita. La sera stessa telefonai a mia madre, inglese, fanatica di moda, abbonata a Vogue e Bazaar, raccontandole tutto. Lei, perentoria esclamò ‘mi leggi il suo biglietto da visita?’ . Quando sentì il nome di Richard Avedon, mi disse, ancor più perentoria ‘domattina alle 9 ti presenti al suo studio e accetti la sua proposta di lavoro ‘.

 

‘Io voglio scrivere’

Lo feci e fu l’inizio di una bellissimo stage -retribuito profumatamente– con il fotografo di moda più celebre del mondo. Stage che durò un anno e mezzo. Avendo io imparato a fare la “fashion buyer”, ovvero girare New York in cerca di accessori e la ”stilista”, ovvero a vestire le modelle e seguire il set fotografico, dissi a Dick ‘da te ho imparato ad amare la moda e sarai per sempre il mio maestro ma io voglio scrivere.

Fu lui a mandarmi a Parigi telefonando ad Helene Lazareff, editore e direttore di Elle, l’unico giornale di moda che allora contava in Europa! Fortuna? Tanta ma anche la prova di quello che da allora divenne il mio mantra per la vita: ”chi non osa non usa”‘

Lezioni di stile d’eccezione

Lei è d’esempio per coloro che aspirano ad essere riconosciuti per la genialità del proprio occhio critico e cifra stilistica.
Cosa consiglierebbe a un ragazzo che approccia oggi al mestiere di giornalista?

Consigliare è una parola grossa perché so bene quanto sia cambiato il mondo della comunicazione, soprattutto negli ultimi trent’anni. In generale il consiglio di base è non porre limiti alla lettura, più si legge, meglio si scrive. C’è un processo di osmosi didattica del tutto inconscio che lega queste due discipline.

Il segreto della scrittura? ‘Personalità, identità e cura’

Ancora, suggerisco di fuggire generalismo e tuttologia, meglio scegliere un argomento che si ama, studiarlo profondamente e poi iniziare a scrivere soltanto di quello. Per spaziare c’è tempo una vita. Soprattutto, invito ad essere se stessi, adottare un linguaggio è un stile che ti appartengono, evitando di ispirarsi ad altri e coltivando al massimo la propria forma.

Cosa ha amato di più? La moda o il giornalismo tout court? O entrambi? 

‘Difficile dirlo, anzi direi che ho amato parlare di moda in chiave giornalistica e non letteraria. Cioè con chiarezza, oggettività che non vuol dire parlar bene di tutto, ma riconoscere l’eccellenza come gli errori capitali cui qualunque creativo di moda è soggetto.

Un bel mix di senso critico e sense of humor che rendono gradevole la lettura. Soprattutto non indossare mai la tonaca del giudice che abusa della propria competenza.

La moda  è una disciplina molto seria. di cui, prima di dare un giudizio bisogna avere competenza. Il giornalismo, è una disciplina altrettanto seria che mal sopporta faziosità, partiti presi e soprattutto corruttibilità nelle idee e nei fatti.’

Cosa è cambiato dai tempi i cui tutti attendevano che uscisse il suo articolo ad oggi, nella moda e nel giornalismo?

‘Tutto perché sono cambiati tutti i parametri. Quando scrivevo sul Corriere della Sera dall’ inizio dei ‘70 alle soglie del 2000, per la moda erano tempi eroici, oggi sono tempi grami in cui le discipline artistiche come moda, design, musica sono dettate e soggette all’80% a discipline razionali come il marketing e la finanza.

Allora c’erano sperimentazione e coraggio che hanno portato la moda italiana al protagonismo mondiale ma è bastata l’applicazione del concetto di globalizzazione per spegnere come candele i privilegi della libera creatività e dello stile che hanno connotato la fine del 900.’

Se dovesse attribuire un aggettivo ad ognuno degli storici stilisti italiani che ha conosciuto, quali darebbe? Re Giorgio, Versace, Armani, Valentino, Ferré; brand che hanno reso immortale il made in Italy nel mondo

Giorgio Armani, immenso potere dello stile e trionfo della portabilità. Gianni Versace, talento inarrivabile a rendere iperbolica la femminilità; Valentino, monarca assoluto del vestire aristocratico, Gianfranco Ferré, Nobel della ricerca dei tessuti e nelle creazione di forme e volumi. Romeo Gigli, Oscar insuperato dell’uso del colore e di forme arcaiche rivisitate in chiave moderna con l’ausilio di una cultura eccelsa. E qui mi fermo: se parliamo di italiani, dopo di loro il diluvio.’

La speranza di una informazione libera 

Adriana, il suo monito è quello di non tradirsi e agire con onestà intellettuale, senza mai corrompersi a favore di qualcosa che non riconosciamo affine a noi. È ancora possibile ai giorni nostri lavorare restando coerenti e fedeli a se stessi?

‘Spero che siano molti i colleghi che lo fanno o perlomeno ci provano ma sono cosciente che la dipendenza dal peso della pubblicità vitale per la sopravvivenza sia della carta sia del Web, sia un ostacolo assai coriaceo. Due esempi per tutti, Anna Wintour e il suo Vogue America e Chiara Ferragni sul Web. A buon intenditor poche parole.’

Adriana Mulassano

C’è un ricordo, un aneddoto che porta nel cuore tra i più belli della sua carriera?

‘C’è ne sono a decine ma voglio ricordarne uno straordinariamente spiritoso. Negli anni 80 feci una critica ”diretta” ad una collezione dei Missoni, il cui brand reputo uno dei più personali e validi della moda italiana.

Bene, poco dopo che il pezzo era stato pubblicato sul Corriere mi fu recapitato da parte loro un cactus messicano alto due metri e spinosissimo… Lo trovai e ancor oggi lo trovo un omaggio che soltanto due persone di prima categoria super come Thai e Rosita Missoni potevano concepire e fare!’

Mulassano, ‘buon gusto non coincide con lusso’

Se dovesse definire il buon gusto, cosa direbbe ai suoi studenti? 

‘Il buon gusto è armonia, detesta gli eccessi come la mancanza di personalità. E guai a confondere il buon gusto con il lusso che molto spesso gravitano attorno a poli opposti.’

Adriana le piace ancora la moda?

‘E come potrebbe non interessarmi? Continuo a guardare imperterrita sul Web tutte le sfilate. Quanto a piacermi, la risposta è ovviamente no, tranne rare eccezioni. Ma forse sono io ad essere “antica come le guerre puniche”…! A 83 anni non ci sarebbe nulla di inquietante!’

Cosa sogna in questo momento?

‘Sogno di andarmene subito dopo che la moda italiana sia ribaciata dalla creatività.’

Grazie Professoressa Mulassano, sacerdotessa del giornalismo e della moda. Siamo certi che il genere umano sia di passaggio da queste parti, ma i suoi insegnamenti, le sue leggendarie pagine e l’ inimitabile stile rimarranno eterni.

 

 

 

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