Home » News » Coronavirus, il racconto del dramma sanitario al San Raffaele di Rocca di Papa: «Operatori in prima linea senza nemmeno le mascherine»

Coronavirus, il racconto del dramma sanitario al San Raffaele di Rocca di Papa: «Operatori in prima linea senza nemmeno le mascherine»

Pubblicato il
Dopo quanto tempo cambiare la FPP2

La cellula del Partito Comunista del San Raffaele di Rocca di Papa ha ricostruito la verità sugli errori della direzione del San Raffaele e sui ritardi della Regione Lazio e della ASL RM6. La struttura del San Raffaele di Rocca di Papa contava a fine marzo circa 192 pazienti, ripartiti in 5 reparti (80 nelle due RSA, 96 nei due reparti di Lungodegenza Medica, 16 in Hospice), 148 lavoratori dipendenti e 20 giovani lavoratori a partita IVA.

Come è stato possibile che hanno contratto il virus il 71% dei pazienti ricoverati e il 24% dei lavoratori impiegati nella casa di cura?

Purtroppo sono stati commessi molti errori da parte della direzione del San Raffaele, della ASL RM6 e della Regione Lazio, errori che hanno agevolato la diffusione del coronavirus sia tra i pazienti che tra gli operatori sanitari.

Caso San Raffaele a Rocca di Papa: la cronistoria di un dramma sanitario

Va ricordato che il 22 febbraio sono stati dichiarati zona rossa i comuni di Codogno e di Vò Euganeo, mentre il 9 marzo tutta l’Italia veniva dichiarata “zona protetta” e iniziava la quarantena per l’emergenza sanitaria coronavirus.

In questa situazione di emergenza sanitaria nazionale, i lavoratori del San Raffaele di Rocca di Papa hanno da subito constatato che le misure di protezione adottate dalla direzione della casa di cura erano assolutamente carenti. Nel San Raffaele i lavoratori si sono ritrovati con poche mascherine e solo con 7 dispositivi di sicurezza, sotto chiave e disponibili solo per le situazioni di emergenza.

I lavoratori del San Raffaele di Rocca di Papa hanno chiesto, tramite i propri sindacati, già dal 26 marzo 2020 in una riunione con la direzione i dispositivi di sicurezza (DPI) per tutti i i 168 operatori sanitari della struttura. Al fine di garantire la sicurezza di tutti, la richiesta dei lavoratori era molto articolata: DPI, stoviglie monouso, mascherine serie e possibilmente una al giorno (non una ogni tre giorni), scorte maggiori di guanti, ecc.

Neanche le “semplici” mascherine

Ma al San Raffele mancavano anche le semplici mascherine, tanto che gli operatori sanitari sono stati costretti a utilizzare le stesse mascherine per tre giorni consecutivi, pare per un “misterioso” furto delle stesse. In quei momenti l’indicazione dell’azienda sembra sia stata quella di conservare le mascherine per il giorno successivo e di cambiare semplicemente la garza interna.

A fine marzo la situazione al San Raffaele era già molto preoccupante per la presenza di troppi pazienti influenzati, febbre alta e bronchiti, astenia (tutti sintomi covid). Il 30 marzo i lavoratori, sempre più preoccupati per la carenza di DPI e per i troppi pazienti con febbri e bronchiti, hanno chiesto con forza alla direzione di fare i tamponi. Perché la Regione Lazio e la ASL RM6 non hanno pianificato tempestivamente una campagna di tamponi a tutto il personale e ai pazienti delle case di cura, RSA e case di riposo presenti sul territorio? Perché al 30 marzo nessun tampone era stato ancora effettuato nella casa di cura San Raffaele?

I primi tamponi: scatta l’allarme

Dopo la pressione dei lavoratori, nei giorni successivi sono stati effettuati dalla struttura San Raffaele (su delega della ASL RM6) i primi tamponi e il 5 aprile è stato riscontrato il primo caso di positività al Covid nel reparto di Lungodegenza Medica, un uomo anziano ricoverato da oltre un mese. Il giorno successivo sono risultate positive decine di persone, tra cui il direttore del personale, il primario della RSA e la caposala di uno dei reparti di lungodegenza medica.

A seguito dei numerosi casi riscontrati, al San Raffaele è scattato l’allarme e sono stati eseguiti altri tamponi solo ad una parte di operatori del reparto di Lungodegenza Medica, di fisioterapisti e di personale alberghiero. I tamponi sono stati fatti da personale del San Raffaele in modo sbagliato, limitandosi ai tamponi faringei e dimenticando i tamponi nasali. Ricordiamo che il tampone per il coronavirus consiste in un primo tampone nasale, che viene infilato in profondità in entrambe le narici e ruotato, e in un secondo tampone, che viene inserito in bocca per prelevare la saliva da faringe e tonsille. 

In un caso di emergenza così grave come quello di una struttura così grande come il San Raffaele di Rocca di Papa, le risposte ai tamponi effettuati sul personale sono arrivate da parte della ASL RM6 anche dopo 4 giorni. Questo incredibile ritardo è gravissimo.

Tutti avevano chiesto un laboratorio di analisi covid a Genzano per rendere più veloci le risposte e riuscire a fare più tamponi al fine di circoscrivere immediatamente gli eventuali focolai. Invece, nel caso del San Raffaele scopriamo che in questa importante struttura nessun tampone è stato fatto nel mese di marzo e che i risultati dei tamponi effettuati molto lentamente ad aprile, nell’arco di dieci giorni, sono stati consegnati con un ritardo incredibile di 4 giorni. Queste inefficienze da parte della direzione del San Raffaele e da parte della ASL RM6 hanno permesso al focolaio infettivo di esplodere in maniera molto preoccupante.

Contromisure tardive e errori

La direzione del San Raffaele ha deciso, come misura precauzionale, che gli operatori sanitari del reparto RSA non potevano sostituire i colleghi nel reparto di Lungodegenza Medica, mentre gli operatori sanitari in attesa dei risultati dei tamponi continuavano a lavorare nei reparti. I tamponi sono stati fatti anche con molta lentezza: infatti, l’8 aprile sono continuati i tamponi per la lungodegenza medica e fisioterapisti e sono iniziati i tamponi nei 2 reparti RSA del San Raffaele di Rocca di Papa.

L’arrivo faticoso dei risultati dei tamponi dei 2 reparti RSA è stato drammatico: l’11 aprile nel reparto RSA sui primi 5 tamponi effettuati, 4 sono risultati positivi e 3 di loro sono deceduti. In questa situazione di grave diffusione del covid, gli operatori sanitari del San Raffaele di Rocca di Papa erano ancora costretti a lavorare in divisa di cotone bianco, invece che con i necessari DPI.

Inoltre, la direzione del San Raffaele non aveva predisposto i percorsi idonei per le aree covid e non aveva organizzato gli spogliatoi separati per gli operatori impegnati nelle aree covid (tutti gli operatori sanitari continuavano a cambiarsi negli stessi spogliatoi). Il 14 aprile sono stati effettuati altri tamponi nei reparti RSA e Hospice.

Viene a mancare il personale

Da quel giorno è iniziata la carenza di personale. Molti operatori sanitari sono risultati positivi, altri si sono messi in malattia perché manifestavano i primi sintomi o perché avevano paura di lavorare in condizioni così indecenti e pericolose, rischiando di infettarsi insieme ai loro familiari. I lavoratori hanno comunque chiesto aiuto alla direzione per coprire i turni, ma l’aiuto non è mai arrivato.

Da quel momento gli operatori sanitari hanno effettuato anche i doppi turni. In alcuni momenti i due reparti di RSA sono stati coperti con solo 5 unità infermieristiche (quando in una situazione normale venivano impiegati 30 infermieri).

A Rocca di Papa il San Raffaele diventa “zona rossa”

Con grande senso di responsabilità, i lavoratori hanno informato della gravità della situazione la massima autorità sanitaria del Comune di Rocca di Papa: il vicesindaco Veronica Cimino, che ha immediatamente istituito la “zona rossa” per isolare la casa di cura San Raffaele.

Il giorno 14 sera è stata per i lavoratori una situazione di “panico totale, paura e ansia”, perché sono arrivati i carabinieri a bloccare tutti sia in entrata che in uscita. Da quel giorno la Regione Lazio e la ASL RM6 hanno dovuto prendere in mano la situazione, inviando gli ispettori e trasferendo i pazienti positivi in strutture covid dedicate.

Lo scandalo della gestione della casa di cura San Raffaele di Rocca di Papa è stata oggetto di numerose trasmissioni televisive (Chi l’ha visto, Report, TG3, ecc.) e su tali gravi fatti sta indagando la Procura della Repubblica di Roma e di Velletri.

Lavoratori abbandonati da tutti

I lavoratori, invece, che vogliamo definire come “i nostri eroi” perchè hanno combattuto il covid in condizioni difficilissime senza DPI, sopperendo agli errori della direzione del San Raffaele, della Regione Lazio e della ASL RM6, sono stati abbandonati da tutti.

Tra i lavoratori va sottolineata la particolare situazione dei 20 giovani operatori sanitari assunti a partita IVA, mandati a combattere il coronavirus senza DPI per pochi euro l’ora, con 10 di loro che si sono infettati e sono rimasti a casa non pagati, senza nemmeno poter usufruire della malattia. Questi sono gli “eroi precari” del San Raffaele di Rocca di Papa, con i contratti a partita IVA che scadono e non verranno rinnovati, privi delle tutele sindacali.

La proprietà del San Raffaele si rifiuta di chiedere la cassa integrazione per i lavoratori della struttura di Rocca di Papa, minaccia i licenziamenti e usa i lavoratori per ricattare la Regione al fine di ottenere l’accreditamento della struttura. Gli operatori sanitari chiamano il centralino per sapere quando rientrare e alcune risposte sono indecenti: “mettiti in malattia”, “prenditi le ferie”, “usa la banca ore perché per ora non c’è lavoro”.

Fermare i licenziamenti

Il Partito Comunista dei Castelli Romani esprime la massima solidarietà ai dipendenti del San Raffaele di Rocca di Papa, che sono in lotta contro i licenziamenti. Il San Raffaele di Rocca di Papa rappresenta il simbolo del fallimento della faraonica e costosissima sanità privata dei Castelli Romani, nel Lazio e in Italia.

I lavoratori del San Raffaele di Rocca di Papa hanno pagato un tributo altissimo per l’incapacità della proprietà che aveva nominato addirittura un direttore senza titoli a dirigere la  struttura ospedaliera, con risultati molto tragici. Il Partito Comunista dei Castelli Romani propone alla Regione Lazio di rilevare la casa di cura San Raffaele di Rocca di Papa e di internalizzare i lavoratori occupati nella struttura.

Basta con i privati nella sanità con sede fiscale all’estero, che lucrano sulla salute dei cittadini mettendo a rischio la vita dei pazienti, dei dipendenti e dei loro parenti. Il Partito Comunista dei Castelli Romani esige un intervento urgente dei Sindaci dei Castelli Romani e litoranea a sostegno della lotta contro i licenziamenti dei lavoratori del San Raffaele di Rocca di Papa.

Impostazioni privacy