Inizia sabato 31 ottobre il calvario di Danilo, un giovane ragazzo di Roma, attualmente ricoverato al San Filippo Neri. Sembrava essere una semplice influenza, una come tante, con febbre alta e mal di gola. Poi sono iniziati i primi problemi respiratori. ‘Devo respirare a mezzi polmoni perché ho una compromissione polmonare, una polmonite. Se respiro più forte mi viene da tossire’ – ci spiega Danilo.
Da qui la decisione di sottoporsi al tampone molecolare mercoledì 4 novembre. E’ venerdì scorso quando Danilo riceve l’esito: è positivo al Covid-19. ‘Avevo la tosse, mi faceva male lo stomaco. Ho chiamato l’ambulanza, ho raccontato tutto e mi hanno portato in ospedale’. Danilo trascorre così la prima notte nel nosocomio: ‘La mattina alle 6 mi hanno trasferito dentro una stanza di una sala d’aspetto, tutta chiusa con una stufetta. Faceva abbastanza freddo. Senza cuscino, senza coperte, senza niente‘.
Credeva di aver visto tutto, ma si sbagliava. Danilo è stato traferito e portato in una tenda. Con lui anche altri malati di Covid-19. E in una struttura sanitaria, seppur ‘messa in piedi’ per l’emergenza, non ci si aspetta di trovare aghi di siringhe e urina per terra. Dov’è la sicurezza? E in che modo viene garantito il trattamento adeguato e dignitoso ai malati? ‘C’era una puzza che non ti dico, una cosa bruttissima, i ragni che camminavano per terra, un obbrobrio. Mi sono arrabbiato, loro hanno passato uno straccio e disinfettato con l’amuchina’.
‘Ho una serie di conoscenze nel mondo del giornalismo e loro hanno capito che volevo denunciare quella situazione di degrado, invivibile’ – ci spiega Danilo che, telefono in mano, ha iniziato a documentare quello che stava vivendo. Tra aghi di siringhe e ragni. Il giovane sarebbe stato poi spostato in reparto, solo quando – messi alle strette – in ospedale hanno capito che tutto quello che stava accadendo poteva essere reso pubblico. E in questo momento che si sarebbe liberato un posto in reparto per Danilo, che ancora ora si trova ricoverato in una stanza del pronto soccorso del San Filippo Neri. ‘Ci danno da mangiare come le bestie, il cibo messo sui secchi dell’immondizia. Ora noi stiamo bene, ci possiamo alzare. Ma altrimenti come avremmo fatto? E come se non bastasse: ‘Nel bagno, poi, ci sono le spine rotte con i fili di fuori della corrente’.
Siamo nel pieno di un’emergenza sanitaria, per la seconda volta: gli ospedali sono al collasso, il personale sanitario è allo stremo, i posti letto mancano. E quando non ci sono si creano per fare spazio ai malati di Covid-19. Anche in posti impensabili, spesso anche nelle chiese degli ospedali.
La nostra sanità pubblica è stata molte volte – e forse anche giustamente – osannata. Nonostante nel tempo ci siano stati dei tagli in buona parte del nostro Paese e il prezzo forse lo stiamo pagando ora. E anche caro. Proprio nel Lazio, visto l’aumento dei nuovi casi, si sta continuando ad investire per ampliare la rete ospedaliera. “I numeri ci impongono di tornare ad investire. Puntiamo a coinvolgere 54 strutture per un totale nel Lazio di 5.310 posti letto Covid, circa 4.409 di ordinari e arriveremo a 901 posti di terapia intensiva e sub-intensiva” – aveva dichiarato il Presidente Zingaretti. Noi ci auguriamo che sia davvero così. Ma intanto, lì dove i malati Covid ci sono non bisognerebbe forse riservargli un giusto e dignitoso trattamento? E non tra ragni e siringhe. E non in una tenda dove la puzza è insopportabile. In un posto dove potrebbe essere anche alto il rischio per il personale sanitario.