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Cosa resta dell’11 settembre

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Le storie di due uomini che tornano alla memoria a vent’anni da quell’orrore in mondovisione

Tutti quelli che sono nati prima del 1991 ricorderanno perfettamente cosa stavano facendo quando il primo aereo, il volo 11 della America Airlines esplodeva dentro la Torre Nord, dando il via a quella carneficina che è entrata nella storia. Erano in Italia le 14:46 e da quel momento in poi nulla fu come prima. Tutto cambiò nella vita che avevamo allora, prima di quel minuto: sicurezze, certezze acquisite, modi di viaggiare e gli stessi occhi con cui guardavamo il mondo prima di quel giorno non li abbiamo più avuti. E ancora oggi nulla sembra cambiato dopo venti lunghissimi anni, anni in cui abbiamo visto operazioni militari condivise per scovare e uccidere Bin Laden, per stanare come topi alcuni tra i più miserabili e sanguinari dittatori del mondo arabo, per portare una pacificazione che, è cronaca di questi giorni, di fatto non è avvenuta.

Ma questo ricordo non vuole diventare analisi geopolitica e strategica di equilibri che, appunto dopo venti anni, ancora sono lontani da esser conseguiti, qui si vuole ricordare gli uomini e le donne che quel giorno, andando al lavoro o a passeggio nel centro luccicante e pulsante della Big Apple, si trovarono difronte all’orrore.

Tanti hanno scritto e filmato e documentato cosa accadde quel giorno.

Registi del calibro di Michaal Moore ( Fahreneit 11\9) di Oliver Stone (World Trade Center) e di Stephen Daldry (Molto forte, incredibilmente vicino) ma anche poeti e scrittori, cito uno su tutti: Don Delillo con il suo bellissimo “L’uomo che cade”. Eppure, nonostante il diluvio di film libri e documentari tante sono rimaste le voci inascoltate, tanti sono stati i piccoli grandi gesti eroici e iconici di questa ecatombe americana che fece 2977 morti.

Noi de “Il Corriere della Città” ne vogliamo raccontare brevemente due, che racchiudono simbolicamente l’orgoglio (e l’eroismo) della ragione, ma senza quella rabbia che narrerà poi Oriana Fallaci, testimone oculare di quell’evento, nel suo pamphlet.

The Falling Man nella copertina de IL TIMES

L’orgoglio innanzitutto di quello che fu denominato dal giorno dopo “The falling man” ovvero: L’uomo che cade. Una foto tra le tante delle tante scattate quella mattina che ritraevano i disperati che si gettavano dalle Torri Gemelle per sfuggire alle fiamme. Questa però, scattata dal fotografo Richard Drew (che si era trovato per caso sotto le torri mentre andava a scattare foto per una sfilata a Manhattan) più delle altre diventa simbolo del tutto. Un uomo che con dignità e eleganza si lascia morire senza perdere la propria identità. Qualcuno lo descrisse come un uomo che ha accettato il suo destino e che sembra quasi volare dolcemente verso la morte. Con orgoglio appunto. Ci furono molte ricerche effettuate dopo quei giorni per determinare chi fosse quell’uomo che cade.
La più verosimile è quella che porta a un certo Norberto Hernandez, pasticciere specializzato dell’elegante “Windows on the World”, ristorante del 106esimo piano della Torre Nord. Due sono le cose che rendono incredibile la sua morte, e non sono le foto: La prima è che il fotografo Drew, aveva scattato trentatré anni prima l’immagine del momento esatto della morte di Bob Kennedy. Lui era lì, a Los Angeles il 5 giugno del 1968, era dietro Bob, e dopo gli spari salì sul tavolo che era difronte il senatore e lo fotografò con gli occhi sbarrati, un attimo prima di morire. Un attimo prima. Come quell’11 settembre fece per Norberto Hernandez.

Il ristorante Windows on the World

Ma la cosa forse più sorprendente sta nel fatto che la famiglia di Norberto, quando si è arrivati alla sua identità ha negato che fosse lui quello della foto. “No, uno come lui non si sarebbe suicidato” dicono in coro figli moglie e fratelli. La sua famiglia non ha accettato il gesto estremo. E quindi Norberto che da vivo era amato da tutti dopo quel volo così dignitoso si trasforma di colpo in un’onta per la famiglia. Che non si rassegna all’ovvio, alla caduta di un uomo che non aveva altra possibilità avvolto com’era dalle fiamme di un aereo che gli era esploso pochi metri sotto i suoi piedi.
Non si rassegna alla sua morte.

Rick Rescorla pochi minuti prima di morire (Foto BBC News)

 L’altra storia riguarda un vero eroe per caso: Rick Rescorla. In realtà lui eroe lo era già stato nella vita, quando, giovanissimo, si era arruolato per il Vietman. Militare pluridecorato, Rescorla aveva poi deciso da civile di indossare la divisa della Security per la banca Morgan Stanley. Rick era il responsabile della sicurezza e quella mattina era come sempre al suo posto di controllo quando il boato dell’aereo e il fumo che immediatamente avevano avvolto la Torre lo avevano fatto sobbalzare dalla sedia oscillando come tutti in quella specie di terremoto. E Rick capisce subito che quello non è un incidente ma un attacco, e non ascolta l’autorità portuale di New York che invita tutti a rimanere ai loro posti per non intralciare i soccorsi. Lui decide di fare di testa sua, e di far evacuare tutti immediatamente.

Inizia così un percorso a ostacoli con cui, in vari viaggi su quelle maledette scale strette certamente non pensate per una fuga di massa, Rick guida letteralmente fuori 2687 persone tra dipendenti della banca e personale di uffici contigui ai loro.

Qualcuno racconterà che per scacciare il terrore di chi scendeva con lui chiedesse di prendersi per mano e di cantare canzoni che conosceva solo lui, che era nato in Cornovaglia e che quelle filastrocche gliele avevano insegnato da bambino proprio per scacciare la paura. “Cantate con me e state calmi…”
Il suo corpo non sarà mai ritrovato: i testimoni riferiranno di averlo visto per l’ultima volta al piano terra, che risaliva di nuovo le scale per portare in salvo altri superstiti
Chi lo ha salutato l’ultima volta giura che Rick sorrideva e cantava.

https://americamatters.com/rick-rescorla-saved-2687-lives-on-september-11/

Mauro Valentini

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