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Covid, psicologi età evolutiva: ‘Chiusura delle scuole problema enorme. Si parla di movida ma i ragazzi non escono più, il ritiro sociale è un problema’

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Latina Fondi e Terracina, mascherina all'aperto

Federico Bianchi di Castelbianco, psicologo e psicoterapeuta dell’età evolutiva, direttore dell’Istituto di Ortofonologia (IdO) di Roma, è intervenuto ai microfoni della trasmissione “L’Italia s’è desta”, condotta dal direttore Gianluca Fabi, Matteo Torrioli e Daniel Moretti su Radio Cusano Campus.

Gli effetti della pandemia sui giovani. “Stiamo vivendo tutti un’esperienza molto negativa –ha affermato Bianchi di Castelbianco-. I ragazzi l’hanno già vissuta nello scorso anno scolastico e l’hanno vissuta sicuramente male. Per parlare dell’attuale situazione dei giovani bisogna dare un’occhiata a quello che è successo e a cosa questo abbia comportato. Sicuramente le scuole non sono focolai, questo sta emergendo da tanti studi che anche noi stiamo facendo. Noi abbiamo mille persone in una scuola, nell’arco di 2-3 mesi troviamo una trentina di persone positive, ma queste non portano contagio alle altre 970. Se in una scuola si cerca di tenere delle regole, lo stesso non accade su un autobus o in una metropolitana. Quindi i ragazzi possono portare il virus a scuola, ma non lo prendono lì. Per quanto riguarda la movida, a Roma abbiamo 500mila giovani, di questi quando per le strade ne uscivano 10mila sparpagliati nelle varie zone, io mi chiedevo e gli altri 490mila? La verità è che i ragazzi tendono a non uscire. Io sono più preoccupato per i 490 mila che restano a casa e tendono a non uscire. E’ scattata la famosa sindrome della capanna, i ragazzi hanno difficoltà ad uscire, a relazionarsi, si chiudono dentro con i loro pc e smartphone. Questo ritiro sociale fortissimo è un problema. Il mondo è cambiato anche per noi adulti, che ordiniamo le cose su internet anziché andare nei negozi. Questo lo vedono anche i giovani. Il non andare a scuola è un problema enorme che ci porteremo dietro nei prossimi anni e ne vedremo le conseguenze. Per quanto riguarda la narrazione a livello mediatico, i ragazzi vivono come se la malattia fosse in agguato per attaccarci in qualunque modo. E’ anche giusto vivere con le dovute preoccupazioni, ma non si può vivere con l’angoscia, i ragazzi hanno difficoltà a distinguere”.

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