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RADIM, LAVORATORI IN STRADA PER PROTESTA

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Alla fine sono tornati nuovamente a protestare in strada, i dipendenti della Radim, la storica azienda pometina che si occupa di realizzazione e alla vendita di kit diagnostici, che sembrava aver ripreso fiato grazie all’accordo raggiunto lo scorso settembre con la società russa “Alkor Bio”, che consentiva di salvaguardare occupazione e livelli produttivi. Da questa mattina alle 7:30 sono in 35 i dipendenti in protesta fuori ai cancelli: ad entrare solo 5 o 6 dell’amministrazione, mentre gli altri sono già in cassa integrazione. “Stiamo attendendo la delegazione russa per avere delle risposte”, hanno spiegato i lavoratori, che hanno proclamato lo sciopero a tempo indeterminato “fino a quando non ci verranno pagate le 6 mensilità del 2011, la tredicesima del 2012 e lo stipendio di marzo del 2013 che ancora non ci sono stati riconosciuti. Da due anni non ci viene versato il fondo pensione, né per quanto riguarda il TFR né per la parte sanitaria, anche se questi importi vengono comunque detratti dalla busta paga. Anche per l’iscrizione al sindacato è la stessa cosa: paghiamo la tessera con detrazione dallo stipendio, ma questi soldi non vengono poi girati al sindacato. Che fine fanno? Abbiamo fatto richieste di rimborso alla società, ma sono rimaste inascoltate”.

Ormai da un mese, la preoccupazione per i posti di lavoro è riemersa prepotentemente, da quando è stata misteriosamente imballata la macchina per l’inflaconamento degli allergeni, gioiello della produzione Radim, cosa che ha fatto preoccupare i lavoratori, tanto che alcuni temono che nuova proprietà possa spostare in Russia anche i “cloni”, che sono – come spiegano gli stessi dipendenti – la materia prima per produrre in laboratorio l’antigene e l’anticorpo dei Kit diagnostici, svuotando così il know how e il centro strategico della società.
Eppure l’accordo fatto con l’Alkor Bio aveva portato speranza ed entusiasmo, soprattutto dopo l’illustrazione fatta ai 120 dipendenti dal nuovo direttore russo, che aveva pianificato un risanamento del debito ed il rilancio dell’azienda. Ma alle parole probabilmente non sono seguiti adeguati fatti: pare che lo stato passivo del bilancio sia rimasto lo stesso, lasciando quindi ancora l’azienda a rischio fallimento nonostante i numerosi crediti vantati da Radim verso le aziende sanitarie. La situazione finanziaria, sia pregressa che a quanto pare attuale, pregiudica la fiducia delle banche, bloccando la possibilità di avere a disposizione la liquidità necessaria per gli acquisti di materie prime indispensabili alla realizzazione e alla vendita dei kit diagnostici, con l’inevitabile conseguenza perdita di competitività in termini di tempistica che porterebbe alla perdita di importanti commesse e clienti. Già da tempo sono molti i dipendenti in CGIS, ma adesso si teme anche per la sorte degli altri lavoratori, che hanno il sentore che la “Alkor Bio” abbia intenzione di trasferire la produzione maggiore in Russia, lasciando solo un semilavorato di poca importanza a Pomezia, utile per sfruttare il marchio Radim che possiede che, rispetto alla Alkor Bio, offre sicuramente maggiori garanzie per la vendita internazionale rispetto ad una società extraeuropea.

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