Lunedì 1 febbraio 2021, intorno alle sette di sera, la ventinovenne Sonia Di Maggio stava passeggiando in compagnia del fidanzato per le strade di un paesino in provincia di Lecce, direzione supermercato, quando è stata barbaramente e vigliaccamente aggredita alle spalle dall’ex compagno, che l’ha uccisa intenzionalmente con venti coltellate, prima di darsi alla fuga e essere arrestato qualche giorno dopo. Si tratta della quinta vittima di femminicidio quest’anno in Italia.
La parola “femminicidio” esiste nella lingua italiana dal 2001 (fino a quell’anno, l’unica parola esistente col significato di uccisione di una donna era uxoricidio, dal latino “uxor”, moglie) e venne usata per la prima volta nella versione inglese “femicide” nel 1990 da Jane Caputi, docente femminista di Studi Culturali Americani. Nonostante l’introduzione relativamente recente del termine gli omicidi misogini sono sempre esistiti, e quella del femminicidio è una piaga radicata nella nostra società da secoli.
Come si può immaginare, l’emergenza sanitaria provocata dalla pandemia di Coronavirus che ha colpito il pianeta nel 2020, costringendo la maggior parte della popolazione mondiale a confinarsi in casa per lunghi periodi, non è stata un fattore che ha aiutato a combattere la piaga dei delitti e delle violenze contro le donne, ma anzi ha esacerbato situazioni già difficili, costringendo magari donne in difficoltà a vivere in un regime di convivenza forzata all’interno di situazioni famigliari difficili, oppure ancora intrappolate in casa durante la separazione da un marito e da un compagno violenti.
Anche il premio Nobel Nadia Murad, originaria dell’Iraq, ha fatto notare questo effetto collaterale della pandemia da Coronavirus, sottolineando come il lockdown, il coprifuoco e le restrizioni sui viaggi abbiano fatto aumentare in moltissime nazioni il numero di violenze domestiche contro le donne in modo allarmante.
Come ha riportato il Dossier Viminale, durante gli 87 giorni di lockdown nel 2020 è stata uccisa in famiglia una donna ogni due giorni, e nei rimanenti 279 giorni “normali” (non di lockdown) è stata assassinata una donna ogni sei giorni. Il lockdown ha quindi, di fatto, triplicato gli omicidi delle donne. In totale sono state 72 le vittime di femminicidio in Italia nel 2020. Una vera e propria emergenza sociale, tanto che è stata istituita la possibilità di chiedere aiuto nelle farmacie di tutta Italia: se una donna vittima di violenza domestica cerca aiuto, lo può fare chiedendo al bancone di una farmacia una “mascherina 1522”, parola d’ordine per denunciare alle autorità in modo protetto.
Insomma, gli odiosi crimini contro le donne sono ancora qui all’interno della nostra società profondamente patriarcale e spesso dominata da un maschilismo vergognoso, che passa dalle diseguaglianze nei salari e arriva agli omicidi. Se non siamo riusciti a fare i conti con questo fenomeno, come società e come collettività, è anche perché troppo spesso non abbiamo imparato nulla dal passato. La storia dell’umanità è piena di episodi di violenza contro le donne che sono stati nascosti sotto al tappeto e che non hanno avuto la rilevanza che invece meriterebbero, non hanno generato lo sdegno collettivo che invece dovrebbero generare. Si pensi ad esempio alle “Lai Dai Han”: vengono chiamate con questo nome – che in Vietnamita si traduce come “sangue misto” – le centinaia di migliaia di bambine vietnamite stuprate dai soldati sudcoreani durante la guerra del Vietnam, fra il 1964 e il 1973. Oggi sono ancora vive più di 800 vittime di quelle efferate e disgustose violenze, e migliaia di bambini figli di stupri vivono in ombra all’interno della società vietnamita. Il governo sudcoreano non ha mai riconosciuto quelle violenze, e ancora oggi non si è mai scusato ufficialmente per il comportamento dei propri soldati. Questa triste vicenda relativa al periodo della guerra in Vietnam non ha ricevuto lo stesso grado di attenzione che ha ricevuto, per esempio, la campagna militare americana, a cui sono stati dedicati innumerevoli lungometraggi e libri. Ma rimane una ferita aperta: la comunità internazionale dovrebbe fare pressione sul governo Sud Coreano, perché questo riconosca la gravità delle azioni dei propri soldati e preveda dei risarcimenti per le vittime e i discendenti delle vittime.
Diceva Primo Levi che “Tutti coloro che dimenticano il loro passato, sono condannati a riviverlo”. L’Italia è sempre stato un paese fortemente patriarcale, basti pensare che la legge sul diritto d’onore fu cancellata soltanto nel 1981 (fino a allora, gli uomini che uccidevano mogli, figli o sorelle che avessero arrecato loro “disonore” beneficiavano di un grosso sconto di pena), la legge sul divorzio risale al 1970 e il diritto all’aborto fu introdotto nel 1978, quindi fino a cinquant’anni fa erano ben pochi i diritti di cui godevano le donne in Italia. Forse ora le cose stanno iniziando lentamente a cambiare, anche se non abbiamo ancora avuto in Italia una Presidentessa del Consiglio o della Repubblica e troppo spesso il corpo femminile in Italia viene ancora oggettivizzato sui media. Ma finché il numero delle donne uccise ogni anno nel mondo continuerà a essere così alto, non potremo dirci una comunità civile.