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Torvaianica Alta, la Parrocchia Regina Mundi potrà ampliarsi: nuova sconfitta giudiziaria per il Comune di Pomezia

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È l’ennesima sconfitta giudiziaria, quella incassata oggi dal Comune di Pomezia in merito alla “vicenda Torvaianica Alta”. L’argomento in questione è l’ampliamento della Parrocchia Regina Mundi, impedito attraverso l’approvazione della determinazione n. 29240 dell’8 aprile 2015, che conteneva il diniego definitivo relativo alla realizzazione di un complesso parrocchiale in via Mar Tirreno. E oggi arriva la pesante sentenza del Tar del Lazio che, senza ombra di dubbio, dà ragione alla Chiesa e a Don Jorge.
I giudici, oltre a decidere l’annullamento della determina, hanno stabilito che la stessa sorte dovrà avere “ogni altro atto presupposto, connesso e/o conseguenziale”.
La sentenza del Tar riepiloga i fatti, partendo – come esposto dalla stessa Parrocchia – dalla presentazione dell’istanza di permesso di costruire “per l’adeguamento, la riqualificazione e l’ampliamento dell’esistente complesso parrocchiale”.
L’amministrazione a 5 Stelle aveva però inviato un preavviso di rigetto e di seguito il diniego definitivo sulla richiesta di permesso di costruire.
Diniego che la Parrocchia contesta con un ricorso al Tar “proponendo un’articolata pluralità di censure di violazione di legge, anche sotto il profilo comunitario e costituzionale, ed eccesso di potere” a seguito del quale il Comune di Pomezia si era costituito in giudizio.
Secondo il parroco, il Comune voleva interferire troppo, visto che “sia la scelta, sia la realizzazione delle attrezzature pubbliche da realizzarsi sul lotto sarebbero demandate all’Amministrazione comunale”.
Per la Parrocchia c’era inoltre già stato il silenzio-assenso, “non essendo intervenuto alcun diniego nel termine di novanta giorni dal deposito dell’istanza, avvenuto il 24.6.2014; e comunque l’impossibilità di intendere la determina dirigenziale impugnata come atto avente un’indiretta funzione di annullamento d’ufficio del silenzio-assenso legittimamente formatosi”.
Il giudice, ha quindi appurato che “la presenza di attrezzature religiose è prevista dalla disposizione invocata; che tali attrezzature sono realizzabili anche mediante opere private di interesse pubblico; che la previsione del piano attuativo, nella parte in cui lascia esclusivamente in capo all’Amministrazione comunale la scelta e la realizzazione delle attrezzature, riguarda solo quelle pubbliche” in senso stretto e non “quelle private di interesse pubblico (rientranti tra le opere di urbanizzazione secondaria)” come gli edifici di culto e che “la normativa del piano in questione non prevede un riconoscimento al privato della potenzialità edificatoria da esso espressa con relativo trasferimento su altra area in cambio della cessione gratuita dell’area alla P.A.”.
Ma non solo: per il Tar “è radicalmente illegittimo, in ultima analisi, subordinare la realizzazione dell’edificio di culto alla previa unilaterale scelta programmatica del Comune con una connessa anomala ablazione dell’area senza indennizzo”.
In parole povere, il Comune non poteva dire ai rappresentanti della Chiesa “potrete ampliare solo se mi date, e fate, quello che dico io”.

L’Amministrazione, spiegano i giudici, può decidere in merito a cosa da realizzare, con i relativi adempimenti operativi, solo “sulle aree della quale la stessa sia originariamente in possesso, o che rivengano da cessioni gratuite, nei limiti in cui queste siano ammesse dall’ordinamento”, e non nelle aree non sue.
“Ma nel caso come quello in esame – si legge infatti nella sentenza – in cui si tratta di un’area privata che può essere destinata all’uso pubblico a integrazione degli standard urbanistici ad opera del privato”, “si rinviene una destinazione (anche di contenuto specifico) realizzabile a iniziativa privata o promiscua pubblico-privata, che non comporti necessariamente espropriazione o interventi a esclusiva iniziativa pubblica e quindi sia attuabile anche dal soggetto privato e senza necessità di previa ablazione del bene”.
A maggior ragione se si tratta di una chiesa, che “risponde a un’esigenza costituzionalmente tutelata”.
“Il ricorso – scrivono i magistrati – va quindi accolto, previo assorbimento delle censure non esaminate, con il conseguente annullamento della determinazione del Comune di Pomezia n. 29240 dell’8 aprile 2015 – P.E. n. 08441/1, avente ad oggetto il diniego definitivo relativo alla realizzazione di un complesso parrocchiale in via Mar Tirreno”.
La sentenza è definitiva e condanna il Comune di Pomezia, oltre all’annullamento della determina, anche “al pagamento, in favore della ricorrente Parrocchia Regina Mundi, delle spese di giudizio nella misura pari a € 1500 oltre IVA, C.P.A. e importo del contributo unificato”. Soldi che si aggiungono al pagamento delle proprie spese legali.

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