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Fino a Capo Nord in bici sfidando i propri limiti: Mattia Rifino, di Pomezia, protagonista alla North Cape 4000

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MATTIA RIFINO

Una cifra che spaventa solo ad immaginarla: 4.000 km. E’ questa la distanza di una delle competizioni di Ultracycling più emozionanti al mondo che ha previsto quest’anno un percorso che ha tagliato in due l’Europa fino a raggiungere il traguardo (da sogno) a Capo Nord. Parliamo della “North Cape 4.000” una sfida ai limiti dell’uomo che catapulta ciclisti provenienti da ogni parte del mondo lungo un percorso lungo per l’appunto 4.000 km e per di più in totale autosufficienza. Sì avete capito bene: senza alcun tipo di supporto logistico.

Si chiama “Ultra Cycing” ed è uno sport estremo e francamente davvero per pochi. Ebbene Mattia, di Pomezia, 25 anni, si è lanciato in questa avventura partendo con gli altri concorrenti da Rovereto alla volta di Capo Nord con 4 ceck point dislocati obbligatori lungo il percorso. Unica condizione per essere considerati “finisher” della quarta edizione raggiungere il traguardo entro 22 giorni.

Da Il Corriere della Città – SETTEMBRE 2021

Ultra cycling, North Cape 4000 2021: l’intervista a Mattia Rifino

Mattia partiamo dalla fine: il tempo limite per essere considerati “finisher” era fissato in 22 giorni, tu ne hai impiegati 14. Già questo di per sé è uno straordinario risultato al quale dobbiamo aggiungere la posizione finale, 30esimo su 197. Sei soddisfatto?

«Devo essere sincero, no. Il programma che ci eravamo dati prevedeva un risultato di gran lunga migliore. Purtroppo pronti-via e ho accusato un problema fisico che mi ha costretto a pedalare a potenze molto più basse nei primi 4-5 giorni. Problema che non si è risolto e con cui ho dovuto convivere per tutta la gara. A questo si è sommata una deviazione in Finlandia a causa di una strada troppo pericolosa che si è tradotta in 50km in più rispetto alla traccia prevista. Alla fine ho fatto in tutto circa 4,600 km. Ad ogni modo quando si gareggia in eventi così lungo già arrivare in fondo è un gran risultato. Sicuramente, essendo la mia prima volta, ho pagato errori di inesperienza di cui sicuramente farò tesoro per il futuro».

Da dove parte l’amore per questo tipo di competizioni e sopratutto cosa ti passa per la testa quando decidi di affrontare una “follia” del genere?

“La mia è una passione scoperta quasi per caso. Tutto è iniziato con dei viaggi in bici ma per vacanza. Avevo un mezzo che pesava intorno ai 50kg con cui ho girato Capo Nord, la Spagna, il Marocco e altri paesi compresa gran parte dell’Italia. Una volta sono finito in Islanda in un viaggio sempre per vacanza e ho scoperto che non era possibile dormire in tenda in determinati luoghi, come i parchi nazionali ad esempio; mi sono ritrovato così a fare lunghe giornate a pedalare fino a 200km ininterrottamente con la bici peraltro estremamente carica; ho scoperto così che mi piaceva, perché era divertente andare a cercare il limite della “sopportazione”. Da qui ho contatto un allenatore (Massimiliano Sellini, ndr) e mi sono tuffato in questo sport. Certo, di solito si parte con gare con una distanza minore invece noi siamo partiti direttamente con una 4.000!”

Come funziona per il cibo e il pernottamento?

«Anche qui viene data massima libertà agli atleti. Generalmente lo si compra durante la giornata. La maggior parte del cibo viene acquistato presso i distributori di benzina: durante il giorno è quasi tutto cibo “spazzatura” che però ti dà energie da bruciare senza appesantirti troppo; a pranzo e cena si cerca di mangiare un qualcosa di più sostanzioso magari fermandosi in un Bar o in un supermercato. E’ importante chiaramente consumare anche verdura e frutta, qualcosa di salutare, altrimenti il fisico non regge. In molti si ritirano proprio a causa di disturbi alimentari, è una cosa abbastanza frequente. Per dormire invece avevo con me un sacco da bivacco e un materassino: i luoghi più “gettonati” erano le pensiline degli autobus o una tettoia di un supermercato. Più raro, salvo problemi fisici come è capitato a me per esempio, pernottare in strutture al chiuso perché comporta troppi ritardi. Di solito, comunque, non si dorme mai più di tre-quattro ore, a volte è capitato perfino di non dormire per niente, come quando ho fatto praticamente tutta una tirata prima di prendere il traghetto Tallin-Helsinki. A bordo poi mi sono riposato per due ore prima di ripartire”.

Non c’è paura di subire aggressioni o furti specie durante la notte?

“Teoricamente sì. In pratica no perché sei talmente stanco e provato che passa tutto in secondo piano. Mi è capitato di lasciare la bici, che pure è costosa e potrebbe far gola, fuori da un supermercato senza nemmeno legarla. Devo dire che in competizioni del genere non è mai successo nulla come furti o cose del genere. Avevo con me un lucchetto ma non l’ho mai usato”.

Ci racconti qual è stata la tua giornata tipo? Quanti km hai percorso al giorno?

“Il programma che mi ero fatto prevedeva di pedalare 380km al giorno. Partire cioè verso le 5,30/6 del mattino e fermarsi a mezzanotte e mezza l’una. La gara e qualche imprevisto a volte hanno imposto una tabella di marcia differente”.

Cosa ti porti dentro di questa esperienza e se c’è un momento, un episodio, al quale sei rimasto particolarmente legato…

“Il primo episodio che mi viene in mente è anche divertente per così dire. Si riferisce a quando sono arrivato in Norvegia e rispondere alla domanda sul Covid ‘quanti Paesi hai visitato negli ultimi 14 giorni?’. Non erano proprio felicissimi, ecco. Poi c’è sicuramente la notte in cui non ho dormito, che era la settima o l’ottava e dunque con già un bel carico di fatica alle spalle. Confesso che ho avuto anche allucinazioni e non è stato bello. Avevo già fatto tirate simili ma sempre fresco e non così affaticato. Poi ho incontrato personaggi inquietanti in Polonia di cui avevo sentito parlare ma che non avevo mai visto dal vivo…».

Del tipo…?

“Sì ecco ci avevano avvisato durante il briefing prima della gara di queste persone che si prendono degli stupefacenti che vengono dalla Russia e che li trasformano in veri e propri zombie. Vagano di notte per le strade, e io ed un altro ragazzo che era con me li abbiamo incrociati in una zona di campagna completamente buia. E’ stato davvero inquietante”.

Tornando al bagaglio di esperienze che porterai con te?

“Uso un termine che va di moda ma che ben mi rappresenta: la resilienza. In Ungheria, a causa di un problema, ho dovuto pedalare undici ore in piedi, cosa che non auguro mai a nessuno. Lì ho pensato seriamente di ritirarmi invece poi mi sono detto ‘peggio di così non potrà andare’ e sono andato avanti”

Cosa hai pensato quando hai visto la scritta “Capo Nord”?

“La prima cosa che mi è passata per la testa è stata quella di poter finalmente mangiare e dormire tranquillamente senza fretta il giorno successivo. E’ stato come lasciarsi alle spalle un enorme peso”

Ultima domanda: progetti per il futuro?

“Sicuramente ci saranno gare più brevi. Penso di partecipare alla Race Across Italy, in cui è previsto anche il supporto e dunque non è totalmente in autosufficienza, poi una gara da 2,200 km in Austria e poi sto cercando uno step per ottobre novembre senza per una gara di nuovo in autosufficienza. Per quest’anno però basta 4,000km! Il sogno nel cassetto resta la trans America di oltre 6,700km ma non c’è fretta”.

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