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Identità virtuali: l’incomunicabilità reale

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L’era digitale

Quella che stiamo attraversando grazie alla rete è una rivoluzione epocale come poche altre dalla nascita della scrittura: a partire dalla svolta tecnologica si sta verificando un massiccio cambiamento nell’assetto culturale, psicologico e relazionale. Mediante la foto e il nome che scegliamo e le emoticon che usiamo, la vita virtuale riscrive l’immagine di noi stessi e si riflette sulla realtà e sul modo in cui gli altri ci percepiscono.

Fino a un decennio fa vivevamo comodamente a casa nostra con le finestre chiuse a proteggere l’ambiente e i mondi restavano separati, la comunicazione era limitata  nel tempo e nello spazio; ad oggi siamo tutti nella vita di tutti come se fossimo proiettati a distanza tramite la rete, uno scenario che continua a evolvere in fretta – troppo forse – cogliendoci impreparati nel riconoscere i limiti funzionali: siamo seguiti da un’ombra digitale, una biografia di cui a volte siamo inconsapevoli artefici e che può avere anche conseguenze spiacevoli, dato che in certi ambiti, come la selezione per un posto di lavoro, questa può pesare più del curriculum.

 

 

Comunicazione virtuale: una finta realtà

Secondo la ricerca del professor Albert Mehrabian (università UCLA), la comunicazione è composta da questi elementi:

  • 7% parole
  • 38% comunicazione paraverbale (ad esempio: tono della voce)
  • 55% comunicazione non verbale (ad esempio: postura)

 

Il corpo è una componente fondamentale nella trasmissione dei segnali, possiamo far assumere alla stessa frase significati diversi a seconda del tono di voce, dell’espressione del viso, della gestualità o della postura; l’assenza della comunicazione non verbale e paraverbale nel linguaggio virtuale crea una grossa lacuna. Non avendo un quadro chiaro degli elementi ricevuti il cervello risponde in modo inappropriato alterando lo scambio dei messaggi e, dunque, il significato stesso: non vediamo chi abbiamo dietro lo schermo, ma le emoticon se sorride, le lettere maiuscole se arrabbiato, i puntini sospensivi se allude, e cosi via.

Il corpo contiene la nostra storia e posizione rispetto al mondo, eliminarlo dalla comunicazione esclude una parte importante del nostro essere in relazione con gli altri: tra le conseguenze più diffuse la litigiosità e l’aggressività facile.

 

La rabbia virtuale: il potere di ignorare

 

La forza calma è un funzionamento poco conosciuto, una competenza che purtroppo non alleniamo con una formazione scolastica, anzi, siamo abituati ad entrare nella modalità comunicativa con un atteggiamento attivo e competitivo: quasi fosse una gara. 

Non soffermarsi sullo sdegno e sulle generalizzazioni dell’altro è una grossa prova di forza e consistenza personale, non equivale a tacere o avere paura in quanto la forza calma comporta la totale assenza di rabbia: chi tace squalifica, senza mettere in gioco emozioni.

E’ la consapevolezza che la nostra vita è altro, che la realtà è soprattutto fuori dallo schermo: la pienezza di noi stessi nelle capacità professionali, nelle relazioni affettive e del pezzo di mondo che ci appartiene.

Una postura serena e un respiro profondo di tranquillità danno la forza di tenere i piedi ben piantati per terra e un post violento non ci farà certo spostare il passo.

 

Alterazione nella condivisione

Tra le alterazioni psicologiche principali causate dall’uso del virtuale, troviamo l’inquinamento dello stare insieme, in particolare nel concetto di condivisione: avere qualcosa in comune, scambio consapevole e costruttivo. Per un funzionamento pieno di questa esperienza abbiamo bisogno almeno di:

Apertura

Lasciare aperta la porta della conoscenza, alla scoperta dell’altro nella realtà concreta: essere da soli è ben diverso dall’essere isolati.

Piacere dellaltro

L’aspetto profondo dello stare con l’altro è la totale assenza di un compito, il non dover fare o mostrare a tutti i costi, ad esempio, il gustarsi un semplice caffè.

Piacere allaltro

La seduzione non è erotismo come spesso si crede, etimologicamente significa “condurre a sé”. Portare qualcuno verso la propria direzione attraverso la stretta di mano o il contatto visivo, consente l’instaurarsi di una relazione. Ben diverso dal pubblicare o inviare foto audaci.

 

La natura dell’essere umano e la storia della società testimoniano come vi siano e vi siano stati infiniti tipi di condivisione: cibi, lingue, religioni, scoperte, abitazioni, ideali, giochi, territori, costumi, tradizioni, sport e molte altre.

Con la virtualità saremmo stati in grado di raggiungere gli stessi risultati condivisi dai nostri avi? Cosa resterà di tutto il materiale prodotto compulsivamente ogni minuto dai nostri dispositivi?

 

Se volete raccontarmi le vostre storie per sciogliere insieme qualche nodo disfunzionale, scrivete all’indirizzo: psicologia@ilcorrieredellacitta.it

Vi aspetto.

Dott.ssa Sabrina Rodogno

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