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La candidatura di Roma per Expo 2030 parte col piede sbagliato

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Roma Expo 2030

Con la cerimonia di chiusura di questa settimana, si è concluso l’Expo 2020 di Dubai. Nonostante le difficoltà legate alla situazione sanitaria del COVID-19, l’evento ha riscontrato un insperato successo, riuscendo a sfiorare dopo l’ultimo fine settimana il traguardo delle 23 milioni di visite.

Finiti i titoli di coda di Expo 2020, lo sguardo inizia a rivolgersi alle prossime due edizioni della manifestazione, in programma nel 2025 ad Osaka, in Giappone, e con quella del 2030 ancora da assegnare. Tra le pretendenti per Expo 2030 figura anche l’Italia, che propone Roma come prossima sede ospitante. Oltre a rappresentare un motivo di orgoglio nazionale, la candidatura offre una vetrina importante per aprire le bellezze di Roma al mondo. Come sottolineato dal sindaco Gualtieri, la Capitale rappresenta uno dei centri di scienza e cultura più importanti del pianeta, contando innumerevoli musei, opere d’arte ed università. Inoltre, resta una delle principali città al mondo con la maggiore estensione di verde aperta al pubblico.

Sul fatto che Roma abbia molto da offrire ed altrettanto di cui vantarsi restano dunque pochi dubbi. La scelta del tema principale dell’Expo, la rigenerazione urbana, però lascia diverse perplessità in quanto pone l’accento sulle infrastrutture, cioè laddove sorgono i principali problemi della Capitale. La viabilità di Roma, per esempio, rimane uno dei grattacapi di lunga data, con la tanto agognata espansione della rete metropolitana che viene spesso rallentata dalla scoperta di nuovi reperti archeologici durante gli scavi.

Oltre ai dubbi inerenti al tema principale dell’Expo, va riconosciuto che la candidatura italiana è partita lievemente in sordina. Ad inizio del mese di marzo, per esempio, quando la delegazione italiana ha lanciato la candidatura di Roma nel padiglione di Dubai, l’evento di presentazione ha avuto ben poco di spettacolare. Il torpore generale causato da una presentazione PowerPoint anonima e dalle solite parole di rito è stato per fortuna smorzato dalla performance di Mahmood, che ha regalato ai presenti una delle poche emozioni della giornata.

Per aggiudicarsi l’evento, l’Italia dovrà dunque alzare l’asticella e, soprattutto, non potrà permettersi altri passi falsi. D’altronde, per l’Expo del 2030 la concorrenza è particolarmente ferrea. Dando per scontato che le candidature di Russia ed Ucraina (presentate prima dell’inizio della guerra tra i due paesi) sono da considerarsi fuori dai giochi, le altre due pretendenti, Arabia Saudita (Riyad) e Corea del Sud (Busan), sembrano essere favorite rispetto all’Italia. La candidatura di Busan, incentrata sulle tematiche della connettività e sviluppo attorno alle tecnologie avanzate, ha ricevuto a gennaio un forte sostegno dal presidente uscente Moon Jae-in, recatosi di persona all’Expo di Dubai per portare maggiore visibilità al padiglione della Corea del Sud.

Tuttavia, la candidatura dell’Arabia Saudita pare essere quella maggiormente destinata alla vittoria, soprattutto dopo essersi portata a casa il premio per aver allestito il miglior paviglione dell’Expo di Dubai. Le strutture erette dal regno saudita hanno difatti catturato l’attenzione mondiale, accogliendo oltre 4.8 milioni visitatori nel giro dei sei mesi (più di ogni altro padiglione) ed infrangendo ben tre record mondiali.

Quando Lunedi scorso è arrivato poi il momento di lanciare la propria candidatura, l’Arabia Saudita ha presentato un ambizioso progetto incentrato sulle infrastrutture moderne, un vero e proprio punto di forza di Riyad, dalle forti credenziali ecologiche. Già lo scorso dicembre, il presidente della Commissione Reale per la Città di Riyad (the Royal Commission for Riyadh City) Fahd Al-Rasheed aveva annunciato l’intenzione di costruire a Riyad una delle più grandi reti di trasporto pubblico al mondo e di stabilire un’area verde all’interno della città dalle dimensioni almeno quattro volte superiori di quelle del Parco Centrale di New York. Date le ambizioni del progetto saudita, lo slogan della candidatura (“The Era of Change: Leading the Planet to a Foresighted Tomorrow”) evoca in modo pregnante il dinamismo di una giovane città come Riyad, in costante divenire e fortemente orientata al domani.

Confrontando le candidature rivali, entrambe incentrate sul futuro e sui temi della sostenibilità, ecologia e innovazioni tecnologiche, con il progetto di Roma, che invece si appoggia sul grande bagaglio storico e culturale della Capitale, quest’ultimo sembra necessitare di un maggiore slancio moderno. Tuttavia, il vento di modernità e progresso non verrà sicuramente apportato dalla nomina di Virginia Raggi come Commissario responsabile della candidatura per l’Expo. Dopotutto, le ormai note posizioni anti-vax della sindaca uscente di Roma sono la perfetta antitesi di ogni nozione di progresso.

Oltre a minare l’immagine di un’Italia moderna, che è il probabile motivo dell’esclusione della Raggi dall’evento di lancio della candidatura di Roma a Dubai, i precedenti dell’ex sindaca in materia di grandi eventi non ispirano fiducia. Difatti, fu proprio la Raggi ad affossare le aspirazioni italiane di ospitare le Olimpiadi del 2024 mentre risiedeva al Campidoglio. Inoltre, la totale assenza di attività da parte della Raggi, che non ha ancora convocato la prima riunione della Commissione, è sicuramente di pessimo presagio.

Pare dunque innegabile che la candidatura dell’Italia per Expo 2030 sia partita con il piede sbagliato. Tra un evento un po’ anonimo a Dubai, la dubbia scelta di presentare la Raggi come Commissario, e la ferrea competizione di Busan e soprattutto Riyad, l’Italia si trova a dover affrontare una strada in salita. Tuttavia, resta da vedere se le numerose iniziative sindaco Gualtieri e la buona volontà della Commissione riusciranno a dare una nuova linfa alla candidatura tricolore. 

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