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La storia di Luca e il calvario della sua famiglia: ‘Ci siamo sentiti soli, ancora senza referto del tampone molecolare dopo 10 giorni’

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“Come molte famiglie ci troviamo in una situazione surreale” – inizia cosi il lungo sfogo di un cittadino che è da giorni alla ricerca di una risposta da parte della Asl Roma 3 e che, solo poche ore fa, dopo 10 giorni di calvario, è riuscito ad ottenerla.

Tutto inizia quando la classe della figlia viene messa in quarantena. E’ martedì 20 ottobre e sua moglie e la bambina si sottopongono al test rapido al drive-in di Fiumicino, che dà esito positivo: a entrambe viene così fatto il tampone molecolare. Il giorno successivo – come ci racconta Luca – anche lui si sottopone al test rapido: esito positivo e conseguente tampone molecolare. Fin qui tutto bene, o quasi. ‘Quasi’ perché dopo ben 8 giorni, il 28 ottobre scorso, ancora non hanno ricevuto l’esito. “Iniziamo a chiamare i vari numeri della Asl Roma 3 e a mandare email. Per fortuna in serata ci risponde un operatore che riesce a mandarci per email il referto positivo del molecolare di mia figlia. Degli altri nessuna traccia” – ci spiega  Luca. Solo ieri sua moglie è stata contattata e telefonicamente avvisata della sua positività: ‘ma del referto nessuna traccia’. Luca, invece, dopo 9 giorni ancora non sa se sia risultato positivo o meno. “Abbiamo mandato diverse mail e fatto segnalazioni telefoniche per poter avere un tampone domiciliare per il bimbo piccolo”. Sì, perché Luca e la sua famiglia sono chiusi in casa con un bambino di 20 mesi, che non ha potuto fare il tampone vista la loro condizione di isolamento. “Sono ormai 10 giorni che il piccolo è a casa con tre positivi’. Dopo diverse email e segnalazioni è arrivata poco fa, finalmente, la risposta della Asl: ‘Domenica verranno a farci il tampone domiciliare‘. Ma continua ad esserci un problema: ‘nessuno ha ancora ottenuto il referto del primo tampone del 20 e 21 ottobre scorso. La Regione Lazio una volta fatto il molecolare ti apre una pagina personale dove dovrebbe caricare il referto’. Ma di questo, almeno per ora, non c’è nessuna traccia. 

Ora Luca e la sua famiglia domenica si sottoporranno al secondo tampone. Ma la paura di rivivere quella sensazione di abbandono è tanta. ‘Speriamo di non dover rifare di nuovo tutto il percorso per ottenere l’esito del secondo tampone. Per fortuna che tutti quanti stiamo bene, a parte qualche linea di febbre e raffreddore. Non abbiamo avuto nulla di grave’. 

In questa situazione di emergenza il personale sanitario sta cercando (nuovamente) di fare il possibile, ma gli ospedali sono ormai presi d’assalto. E delle famose tre T (tracciare, testare e trattare) ormai se ne parla sempre meno. Come se, in realtà, questo metodo non sia mai stato preso in considerazione.  O almeno, non del tutto. Eppure, il modello ‘Italia’ è stato spesso vantato dal mondo politico in una narrazione che ormai è sempre la stessa. Ma siamo sicuri che questo modello non abbia delle falle? Si sarebbe potuto fare di più per non arrivare ad una situazione come questa? E se il primo lockdown è stato ‘accettato’ perché eravamo tutti spinti da ottimismo e speranza, ora il sentimento predominante è quello della rabbia. E alla paura del contagio, alle difficoltà economiche, ci si deve aggiungere spesso quella sensazione di abbandono. Sono sempre più i cittadini che lamentano di essere stati lasciati soli. A combattere contro un virus che già di per sé tende a isolare le persone, a gelare i rapporti, a raffreddare ogni tipo di socialità. Ma spesso, non è solo il Coronavirus a lasciare sole le persone. 

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