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Non sentirsi a casa

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Sentirsi a casa
“Sentirsi a casa” equivale a stare bene e a proprio agio nell’ambiente che abbiamo scelto come nostro porto sicuro, quella sensazione di libertà che proviamo la domenica mattina stando comodamente in tuta lontani da occhi indiscreti.
La casa è lo specchio della nostra personalità, ci rappresenta come singoli individui e come nucleo familiare: nell’organizzazione degli spazi (la camera dei bambini piuttosto che quella per gli ospiti, o lo studio da lavoro) nei colori, nell’esposizione delle foto o dei libri, l’assenza della tv o la presenza in ogni camera, l’illuminazione, l’ordine o disordine e così via.
Parliamo di un istinto di protezione che ci arriva dai nostri antenati, i quali sceglievano la grotta più adatta per la sopravvivenza, così come ad oggi scegliamo in base alle esigenze di vicinanza al lavoro o alla famiglia di origine, o per semplice gusto personale.

Non sentirsi a casa
Il “non sentirsi a casa” è una sensazione di disagio che fa da base ad un malessere che col tempo può strutturarsi fino a diventare un vero e proprio sintomo negativo: oppressione, rabbia e apatia.
Quando tutto quello che abbiamo intorno sembra non appartenerci più l’umore cala vertiginosamente e il nervosismo è dietro la porta: la casa si fa troppo scomoda, spesso piccola e non ci rappresenta più.
Una condizione psicologica tipica degli adolescenti in pieno caos di riconoscimento di se stessi, in litigio con i genitori che non tollerano la musica alta, o i poster attaccati alle pareti.
Ma si sa, agli adolescenti “si perdona” (quasi) tutto per la fase di crescita e le ovvie conseguenze che ne comporta.
Attualmente, pare essere tipica anche di molti giovani ben oltre l’adolescenza, parliamo degli over trenta impossibilitati economicamente ad uscire di casa.
Abbastanza comune anche la “casa di altri”, ossia, l’entrare in un ambiente dove non abbiamo scelto nulla, dall’arredamento agli spazi.
All’apice dell’esasperazione e senza “giustificazioni di età, di stipendio e sorte” troviamo chi ormai adulto, si ritrova estraneo all’ambiente che lui stesso ha scelto ed organizzato in base a bisogni ormai superati.

Fantasmi del passato
In ogni casa si è verificata una dolosa perdita, per un lutto, una separazione, l’uscita del figlio ormai con la sua vita o mille altre circostanze: tutte situazioni che lasciano inevitabilmente un segno.
Restare in quei vuoti a lungo termine può essere deleterio, sebbene inconsapevoli le emozioni sono presenti e ci pulsano nel cuore portandoci l’amaro in bocca.
La nostra abitazione non deve diventare un “tempio” di malinconia, non ha alcun senso e non è salutare.

Essere morbidi
Il sentire estraneità per la propria casa se persistente può espandersi e arrivare alle persone che ci circondano, al lavoro, e addirittura alla città in cui viviamo: l’istinto è mandare tutto all’aria e ripartire da zero da nuove necessità.
Si tratta di una sintomo di cambiamento in atto, di cui spesso non ne siamo consapevoli: quello che era fondamentale ieri, oggi ci appare scontato e superfluo.
Non esiste un’età giusta per modificare i propri spazi fisici in seguito o in funzione di nuove esperienze, ogni cosa che fa parte della nostra esistenza deve restare “morbida” per poter essere spostata o eliminata del tutto.
L’arrivo di un figlio cambia l’assetto degli spazi, l’avanzare dell’età può aumentare la necessità di avere più angoli di riposo, un nuovo lavoro di poter ricevere i colleghi; insomma, rompiamo le barriere e troviamo l’ambiente e il panorama giusto per noi… tornare a casa deve essere un piacere!

Se volete raccontarmi le vostre storie per sciogliere insieme qualche nodo disfunzionale, scrivete all’indirizzo: psicologia@ilcorrieredellacitta.it

Vi aspetto.

Dott.ssa Sabrina Rodogno

PsicoStress

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