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ALLA RICERCA DI UN “SANTO”

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Chi mi conosce sa che da qualche anno non seguo Sanremo, almeno non in diretta tv, perché tra social e articoli di testate giornalistiche lo vedo lo stesso, anche se in differita.

Più che dei cantanti e delle canzoni l’elemento che anima le discussioni sono i monologhi, dai quali nascono meme e frasi a effetto.

Per tutta la settimana del festival e una manciata di giorni dopo, le bacheche social vengono investite dall’onda del nuovo “Santo” da seguire.

Dopodiché, silenzio.

Questione di followers

Questo è stato l’anno di Chiara Ferragni, l’influencer da quasi trenta milioni di followers, la quale ha scritto una lettera a se stessa quasi auto-celebrandosi, interpretata con pathos, e il suo monologo ha letteralmente spopolato.

Ma perché? Con tutto il rispetto per una donna imprenditrice di successo, bella e famosa: ma in cosa ci possiamo riconoscere noi tutti “comuni mortali”?

Possibile che basti la popolarità e il conto in banca per diventare un modello da seguire?

La Ferragni nasce in una condizione favorevole, benestante di famiglia, con caratteristiche fisiche adatte al mondo della moda e in un momento storico dove il lavoro dell’influencer non era inflazionato come oggi. Eppure, ho letto post di ragazzi giovani che la venerano quasi avesse inventato l’elisir dell’immortalità.

Dateci un “Santo” in cui credere!

Le reazioni alle frasi della Ferragni mostrano quanto ci sia bisogno di un modello da seguire, e quanto la nostra società non ne offra.

A chi possono ispirarsi i giovani? Ai politici? Agli attori? A chi?

E gli adulti ormai disillusi, dove possono trovare un angolo di speranza?

Appare chiara la crisi di valori che stiamo attraversando, e la rapidità con la quale nascono e muoiono i punti di riferimento.

Gli ideali sono fondamentali per legare il passato al presente, e rendere il futuro diverso in base a quello che si è vissuto. Chiara Ferragni quali spinte potrebbe dare a noi tutti, e come potrebbe apportare un miglioramento alla società?

La società che da e toglie

La società industriale ci da tanto bene materiale, tecnologie avanzate in ogni ambito: medico, comunicazione, trasporti. Da una parte ci da, e dall’altra toglie: facciamo fatica a creare relazioni, ad emozionarci.

Credere in qualcosa vuol dire avere un fine, un senso nella vita, una boa in mezzo al mare che ci dia un riferimento o come i bambini quando osservano i genitori: noi dovremmo osservare chi riesce ad apportare miglioramenti e non solo in termini economici.

Usa e getta

Dal silenzio dei social e delle testate, gli stessi che hanno reso popolare e “santificato” quasi il personaggio di turno, appare chiaro quanto la velocità non ci dia modo di metabolizzare e rendere fisso in noi un esempio da seguire.

Immagino i ragazzi alla ricerca di un nuovo influencer da emulare, e gli adulti del politico da attaccare.

Siamo ritornati al punto di partenza, in attesa del prossimo Sanremo che possa regalarci un nuovo “Santo”

Se volete raccontarmi le vostre storie per sciogliere insieme qualche nodo disfunzionale, scrivete all’indirizzo: psicologia@ilcorrieredellacitta.it

Vi aspetto.

Dott.ssa Sabrina Rodogno

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