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Ansia sociale: quando la timidezza prende il sopravvento

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COS’È L’ANSIA SOCIALE

Tutti vogliamo fare bella figura e abbiamo paura di essere rifiutati, e un giusto grado di ansia ci aiuta a dare il meglio di noi stessi. Ma cosa fare se, anche nelle situazioni più comuni, ci sentiamo sempre sotto esame, con gli occhi degli altri costantemente puntati su di noi? Evitare le situazioni sociali risolve il problema nel breve periodo ma, alla lunga, si rivela controproducente.

Il fenomeno dell’ansia sociale colpisce dall’5 al 7 % della popolazione adulta. Si tratta di un numero elevato, che però non trova riscontro in quanti cercano effettivamente un aiuto psicoterapeutico. Questo avviene probabilmente a causa del nucleo psicopatologico di questa problematica, che si riferisce ad una condizione di ansia, ovvero di attivazione fisiologica (ad es. tachicardia, tremori, sudorazione, arrossamento, mal di testa, bocca secca, nausea, tensione muscolare), che viene provata nelle situazioni sociali in cui si è soggetti al giudizio degli altri. Probabilmente, chi soffre di ansia sociale, teme anche il giudizio del terapeuta, diventando così più difficile richiedere un aiuto.

In effetti, in numerosi contesti, la persona si sente come se fosse costantemente di fronte a una commissione d’esame, come se avesse sempre gli occhi degli altri puntati addosso, anche in situazioni che non obbligatoriamente prevedono un giudizio; ne sono esempi andare al ristorante, entrare dentro un negozio, chiedere un’informazione, conversare con i colleghi. Colui che soffre d’ansia sociale ha paura di comportarsi in maniera tale da poter essere umiliato oppure teme che gli altri si possano accorgere della sua ansia e giudicarlo per questo come debole, ridicolo e inadeguato.

Solitamente il disturbo insorge in adolescenza e nella prima età adulta e può essere secondario ad un evento traumatico (es: essere presi in giro di fronte a tutta la classe) o emergere in modo lento e graduale. Se non trattata è una problematica che si cronicizza a causa di una serie di meccanismi di mantenimento che spiegheremo più avanti.

DIFFERENZA TRA ANSIA SOCIALE E TIMIDEZZA

Come è possibile distinguere tra timidezza e ansia sociale? È possibile che le due condizioni siano l’espressione di fenomeni sullo stesso continuum? In effetti, la timidezza, è una condizione pervasiva e abituale che si esprime in diversi contesti dove vi è insicurezza per timore del giudizio degli altri, in cui si prova soggettivo sentimento di imbarazzo e vergogna. Questa definizione corrisponde in buona parte a quella di ansia sociale suggerendo che si tratti di intensità diverse della stessa condizione, anche se talvolta coloro che soffrono di ansia sociale, al di fuori delle situazioni temute, non sono timidi mostrando un normale attività sociale e un buon funzionamento. In ogni caso anche la timidezza patologica diventa limitante e necessita di un intervento terapeutico adeguato.

 

QUALI SONO LE CAUSE DELL’ANSIA SOCIALE?

Come già accennato, dal punto di vista psicologico, vi possono essere delle situazioni traumatiche che portano alla strutturazione del disturbo, solitamente questo avviene se vi è una personalità già timida o con bassa autostima. Oppure, il condizionamento, può essere determinato da un insieme di eventi, che si sommano, portando ad un’insorgenza graduale. Anche l’apprendimento per modellamento è spesso frequente in questi pazienti, che osservando i genitori o chi si prende cura di loro, acquisiscono determinati comportamenti di ritiro sociale, vergogna o imbarazzo.

A livello cognitivo le persone che soffrono di ansia sociale tendono ad interpretare gli stimoli ambigui come negativi, catastrofici e più probabili. Inoltre, è stato rilevato che quando vi è ansia tendono a ridurre l’attenzione agli eventi esterni, aumentando l’attenzione focalizzata su di sé, monitorando costantemente il proprio livello di performance e di attivazione emotiva, aspetto che porta ad un aumento dell’ansia stessa. Inoltre, vi è la tendenza a ricordare eventi negativi durante i momenti antecedenti la situazione temuta e a valutare secondo schemi disfunzionali le proprie performance, una volta che queste sono terminate.

Nelle storie di vita di questi pazienti ritroviamo genitori o figure di accudimento ansiose, ipercritiche, poco assertive, che tendono ad evitare le situazioni sociali per paura delle opinioni degli altri genitori. Inoltre, talvolta, ritroviamo l’uso dell’induzione della vergogna come metodo disciplinare.

QUALI SONO LE CONSEGUENZE DI QUESTO DISTURBO?

In assenza di trattamento il disturbo tende a diventare cronico, questo in quanto, per non andare incontro al giudizio dell’altro, la persona tenderà a mettere in atto una serie di strategie per evitare che ciò che teme (i sintomi d’ansia) si veda. Questi comportamenti vengono chiamati “protettivi”, perché messi in atto per affrontare le situazioni. Ad esempio, coloro che temono la sudorazione potranno tenere la giacca anche quando fa caldo, portando però al risultato di sudare ulteriormente. Le persone che soffrono di questo disturbo tendono inoltre ad evitare una serie di situazioni ansiogene, limitando così la loro qualità di vita, le loro amicizie, le relazioni sentimentali, la carriera e aumentando così l’idea di essere inadeguati, incapaci.

Spesso ritroviamo anche un incremento dell’uso di alcol e/o farmaci ansiolitici che vengono utilizzati come strumenti disinibitori o per controllare l’ansia, senza che vi sia però un reale cambiamento nell’immagine di sé.

COME AFFRONTARE IL DISTURBO

CONSIGLI PRATICI

Non possiamo evitare il giudizio degli altri: giudicare e avere opinioni sulle altre persone fa parte della natura umana. Ciò che dobbiamo tenere in considerazione è che il giudizio non può portare a nulla di catastrofico, in quanto sono solo opinioni e pensieri (per giunta condivisibili o meno), che non portano alle catastrofi immaginate.

Provare ansia è naturale, questa emozione è stata evolutivamente utile alla nostra sopravvivenza, in quanto segnalava i pericoli dell’ambiente e ci permetteva di metterci al sicuro. Non dobbiamo necessariamente combatterla. Provare ad accettarla è il primo passo per lasciarla andare.

Ricordiamoci che i nostri pensieri in merito agli eventi catastrofici, sono solo pensieri. Defonderci da essi ci aiuta a vederli per ciò che sono, meri oggetti della nostra mente.

L’unico modo per combattere ciò che temiamo è affrontarlo: le situazioni che sono per noi fonte d’ansia vanno vissute, per renderci conto che non saranno mai così catastrofiche come ce le siamo immaginate. Inoltre, l’esposizione, ha la funzione di osservare l’andamento “a campana” dell’ansia e sperimentarne una progressiva diminuzione che è un importante rinforzo al fine di esporsi nuovamente alla situazione.

 

AFFIDARSI AD UN PROFESSIONISTA

Ovviamente i consigli pratici appena elencati sono utili per coloro che provano una certa timidezza o lieve ansia sociale. Sicuramente vi sono degli aspetti che rendono più difficile che vengano messi in pratica, ad esempio, l’esordio in età precoce, la gravità della malattia, la presenza di altri disturbi, la bassa aspettativa rispetto al problema, un ambiente di sviluppo caratterizzato da coppie genitoriali apertamente criticanti, iperprotettive e svalutanti o evitanti socialmente, un temperamento inibito, una marcata e facile attivazione fisiologica, una decisa tendenza all’evitamento, un basso livello di autostima e di auto efficacia percepita, un basso livello di abilità sociali e un elevato numero di situazioni sociali temute, sono tutti aspetti che posso rendere difficile se non impossibile gestire autonomamente il problema.

Quando ciò accade è utile affidarsi ad un professionista della salute mentale, psicologo psicoterapeuta ad orientamento cognitivo comportamentale (l’approccio con maggiori evidenze scientifiche in merito all’efficacia del trattamento) che possa aiutare in un percorso adeguato per uscire dal problema.

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