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È stata la mano di Dio: la fortuna nella sfortuna

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Riflessioni
Come ogni fine anno sono solita fare delle riflessioni su quello che ci lasciamo alle spalle e su cosa ci aspetta nel prossimo futuro.
Tenendo conto che nulla va perso e che il passato resterà sempre sotto la nostra pelle, influenzando nel bene e nel male le scelte e le azioni.
Come spunto parto da un film che ho recentemente visto. Adoro il regista per la sua capacità di mettere nelle immagini le emozioni più profonde, ma anche – ammetto – per la comune provenienza geografica e per Toni Servillo.

La mano di Dio
Il film di Sorrentino racconta senza filtri la napoletanità fatta di ironia, teatralità, emozioni estreme ma anche dolore lacerante espresso senza pudore.
Non starò a spoilerare e nemmeno a fare critica cinematografica, non ne sarei capace e non è questo il contesto giusto.
Voglio invece raccontare di Fabietto, il protagonista: un giovane ragazzo, un po’ timido, della Napoli borghese, che soffre di attacchi di panico per dinamiche familiari abbastanza difficili.
Fabietto è circondato da molti parenti e nonostante questo si sente solo, forse per l’età o forse per una sensibilità diversa dal resto del suo mondo.
Un giorno rifiuta di partire per il week end con i genitori per andare a vedere Maradona allo stadio, decisione che fortunatamente gli salverà la vita, ma che gli lascerà come ultimo ricordo il sorriso della madre mentre lo saluta: entrambi i genitori moriranno in un incidente.

Scappare dal dolore
Fabietto vagherà per la città in cerca di appoggio, di qualcuno che riesca a vedere il suo dolore. La realtà non gli piace più, vorrebbe vivere un’altra vita come nei film.
Esce dal suo perimetro e si sperimenta in altre esistenze per ritrovarsi, per capire dove appoggiare quel tormento per non aver potuto vedere un’ultima volta la mamma e il papà.
Scende nei quartieri difficili per perdere il controllo, per riuscire finalmente a piangere.
Quanti di noi hanno scelto di scappare da un dolore? Di mettere un punto e andare letteralmente via lasciando ogni cosa alle spalle?
È l’istinto di sopravvivenza che ci spinge ad uscire, a non voler più guardare.
Fabietto non è tanto diverso da molti.

Metabolizzare
Naturalmente quando scappiamo non sempre siamo consapevoli che ci stiamo portando appresso il dolore, ma sappiamo anche che non c’è alternativa, che starsene fermi vorrebbe dire rimanere incastrati, non andare avanti.
È così che piano piano possiamo imparare a metabolizzare. E non è un problema fuggire se il fine ultimo è ritornare a guardare quel dolore, con gli occhi pieni di malinconia e di lacrime, ma con la consapevolezza di riuscire a non esserne sopraffatti, perché nel frattempo abbiamo attraversato altre storie e altre emozioni. Andare via per costruire altrove una rete di protezione, per accrescere la maturità emotiva e riuscire a reggere; guardare se stessi con occhi diversi ed accogliere; tornare a casa propria dopo tanti anni e ricongiungersi con quella parte che è rimasta dentro di noi come una cicatrice profonda sulla pelle.

Tante volte la rabbia implosa non ci fa vedere che dentro ogni brutta esperienza c’è una piccolissima “fortuna”, una sorta di seme che ci salverà la vita. Proprio come è capitato a Fabietto con Maradona.
È questo l’augurio che mi e vi faccio.

Se volete raccontarmi le vostre storie per sciogliere insieme qualche nodo disfunzionale, scrivete all’indirizzo: psicologia@ilcorrieredellacitta.it
Vi aspetto.
Dott.ssa Sabrina Rodogno

Psicostress

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