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Io non so FARE: quando gli altri servono ad azionarci

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Disturbo dipendente

– Difficoltà a prendere decisioni quotidiane senza richiedere consigli e rassicurazioni;

– Bisogno che gli altri si assumano la responsabilità per la maggior parte dei settori della vita;

– Difficoltà ad esprimere disaccordo verso gli altri;

– Difficoltà di iniziare progetti e fare cose da solo;

– Fare qualsiasi cosa pur di ottenere accudimento, anche assumendosi compiti spiacevoli;

– Sentirsi a disagio o indifesi quando si è soli;

– Cercare un’altra relazione a sostituzione dell’ultima terminata;

– Paura di essere lasciato solo.

 

Perché succede?

Bisogno eccessivo di essere accuditi, comportamento sottomesso e dipendente, ansia costante della separazione e della perdita: sono tutte manifestazioni di attaccamento, insicurezza e inconsistenza.

Inizia in maniera molto semplice: il bimbo allunga la manina per afferrare un oggetto e la mamma è lì pronta a «prendere per lui». Poi il bimbo inizia a gattonare, vede l’oggetto e prova ad avvicinarsi fisicamente. E di nuovo la mamma lo afferra per lui.

Il gesto del prendere, la mano che si allunga verso qualcosa, viene interrotto per la troppa presenza in scena del genitore; se questo accadrà per tutta la crescita lui si ritroverà a risolvere i problemi del figlio, ormai adulto, ormai incapace di «fare».

Diverse sono le cause che portano il genitore all’intrusione continua, come l’ansia, i sensi di colpa per le assenze quotidiane o eventuali crisi personali.

Anche l’eccessiva critica, la svalutazione delle capacità del bambino, la disapprovazione del suo operato, l’allarme continuo, un ambiente familiare ipercontrollato e rigido, possono alterare il gesto del prendere bloccandone l’azione sul nascere.

 

I sintomi del «non fare»

Il risultato è un bambino che non sviluppa il gesto del prendere, non sperimenta le sue capacità di azione e competenza nell’ambiente, e un futuro adulto che non sa di poter fare.

Questo assetto crea una struttura di personalità dipendente, le somatizzazioni sono disturbi d’ansia che nascono dalla costante paura di restare soli, di perdere quel «prolungamento» che fino ad oggi ha permesso di fare attraverso lui.

D’altra parte, i disturbi d’ansia nascono anche sul versante delle troppe critiche che ci fanno restare continuamente in bilico tra fare e non fare. Ansia da prestazione, chiusura, sudorazione e imbarazzo in situazioni sociali, agitazione e lo strafare goffamente nelle relazioni interpersonali.

 

Il corpo e le emozioni

Le rappresentazioni corporee sono: ipotonia nella zona delle braccia che appaiono flaccide e poco mobili, spalle chiuse, sguardo basso, poca imponenza fisica.

Le percezioni che riceviamo di noi stessi sono di una forza fisica flebile, l’apatia; non è raro infatti il massacrarsi in palestra per aumentare la struttura muscolare.

Sul piano emotivo la dipendenza genitoriale si ripresenta nelle relazioni interpersonali: ci troviamo a scegliere partner con la predisposizione alla dominanza, un incastro perfettamente malato nel quale ritroviamo il vecchio nutrimento.

 

E noi come siamo?

Analizzare i nostri rapporti è impresa assai dura, ci troviamo invischiati, impantanati nelle relazioni fino al collo. Proviamo ad osservarci dall’esterno, come siamo senza l’altro? Abbiamo paura? Siamo capaci di fare?

Proviamo ad essere sinceri nelle risposte, perché mentire è il più grande torto che possiamo fare a noi stessi.

 

Se volete raccontarmi le vostre storie per sciogliere insieme qualche nodo disfunzionale, scrivete all’indirizzo: psicologia@ilcorrieredellacitta.it

Vi aspetto.

Dott.ssa Sabrina Rodogno

 

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