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La comunicazione ai tempi del covid: scienza o giornalismo?

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Delirio di massa
Pensavo di non dovermi più occupare di questo argomento e invece, alla luce degli ultimi eventi, mi sento di doverne scrivere ancora.
Come più volte ripetuto: non mi occupo di politica, non sono una scienziata e non mi aggrego a gruppi che vanno in opposizione come stile di vita.
Mi preoccupa però tutto quello che sta accadendo, tra contagi alti, lotte tra sivax e novax, nuove misure di governo, social impazziti ed esperti tuttologi ovunque: e nel mezzo i fragili che muoiono.
Più volte mi sono chiesta cosa ci sia alla base di tutta questa confusione, e la risposta è sempre la stessa: l’informazione dei mass media.

I tempi del giornalismo
Il giornalismo vive di tempi rapidi, cerca risposte e finali di storie da poter pubblicare prima possibile per battere lo scoop, per aumentare il flusso dei like, le condivisioni social, visualizzazioni e guadagni.
La cosiddetta “infodemia” (cfr.: vocabolario treccani) è la proliferazione di notizie discordanti che i mass media producono, diffondendo panico e aggressività in persone che per gestire la paura decidono di far parte di un gruppo.
L’informazione dei media a volte cade nell’errore di voler spiegare delle cose in un ibrido di scienza e politica; un tentativo di ridurre le incertezze raccontando storie complete, fatte di inizio e fine, magari trovando un colpevole, spesso identificato in una minoranza che fa comodo stigmatizzare.

La giornalista Jeff Jarvis il 30 Dicembre scriveva:
“Il giornalismo non ha idea di come trattare la scienza come processo. I giornalisti vogliono risposte definitive, mentre la scienza controlla e ricontrolla costantemente le proprie domande, arrivando a più domande. Quindi i giornalisti distorcono la percezione pubblica della scienza, rendendo un pessimo servizio”.

I tempi della scienza
I tempi della scienza al contrario del giornalismo, sono molto lunghi, soprattutto quando necessitano di dati statistici. Non si tratta di una scienza esatta, ma di un percorso che via via si aggiusta, si modifica e può arrivare alla fine a stravolgere la teoria di partenza: è molto alto il rischio che una scoperta inizialmente considerata corretta, si riveli successivamente errata o incompleta.

Incertezza e aggressività
La tendenza ad oggi è quella di riportare conclusioni e descriverle come incontrovertibili, in un contesto dove non sono ancora disponibili tutti i dati. Ci ritroviamo così a saltare i processi e le sfumature: ai media piace riconoscere gli individui in categorie.
Sullo sfondo ci siamo noi comuni mortali, che assorbiamo passivamente tutto il marasma di informazioni e frustrazioni.
A chi dobbiamo credere e perché?
La domanda è più che legittima. Il problema è quando si vuole imporre con forza una risposta, mettendo in piedi vere e proprie crociate dentro e fuori i social.

Come afferma Cameron Enghlish, scrittore e giornalista scientifico americano:
“L’incertezza dovrebbe essere alla base della comunicazione scientifica”.

Smettiamola!
In conclusione direi che sarebbe meglio tacere di fronte alla tempesta che stiamo attraversando, assumere atteggiamenti presuntuosi ci rende fastidiosi.
Parliamo a vanvera quando di fronte abbiamo qualcuno che per questa pandemia ha perso tanto. Smettiamola di intervenire a sproposito, di fare sarcasmo, di metterci sul pulpito.
Ultimamente mi è capitato di sentire frasi come “tanto lo prenderemo tutti”, e mi spavento abbastanza: che significa? Che dobbiamo rassegnarci? Secondo me dovremmo sempre provare a metterci per un attimo nei panni degli altri, anche se sono molto distanti da noi.

Se volete raccontarmi le vostre storie per sciogliere insieme qualche nodo disfunzionale, scrivete all’indirizzo: psicologia@ilcorrieredellacitta.it
Vi aspetto.
Dott.ssa Sabrina Rodogno

Psicostress

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